LA FUSAIOLA DI URAS NON È CIPROMINOICA…E PERCIO’ CI SAREBBE ANCORA DA STUDIARE

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di Francesco Masia.

 

Sabato 12 e Domenica 13 Settembre 2020 (purtroppo giungiamo a parlarne solo ora, quando sono passati 2 anni e mezzo), si è tenuta ad Orroli la IV edizione del Festival Internazionale della Civiltà Nuragica (Contatti culturali e scambi commerciali della Sardegna Nuragica: la rotta meridionale –Sardegna, Sicilia, Creta, Cipro), i cui atti sono stati pubblicati un anno dopo (Settembre 2021), a cura di Mauro Perra e Fulvia Lo Schiavo, per le edizioni Arkadia (https://academia.edu/resource/work/53464360). Dalla pagina 197 vi troverete l’articolo “Indizi di scrittura antica in Sardegna”, di Raimondo Zucca, Massimo Perna e Luciana Tocco, che arriva a trattare della fusaiola litica, con segni incisi, da una tomba nuragica (del tipo “a cassone allungato”) dell’insediamento nuragico di Sa Domu Beccia, presso Uras (OR); reperto custodito presso la collezione privata del Prof. Dante Piras (dichiarato alla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Cagliari e Oristano). Fino alla pagina 204 si procede alla descrizione dei siti (nuraghe complesso e tombe; autrice Luciana Tocco) e alla rassegna degli elementi egei nel Campidano centro-settentrionale (autore Raimondo Zucca, che considera lingotti in rame “a pelle di bue”, tripodi, tecnologie per la fusione del bronzo e per le costruzioni isodome). In particolare, Zucca cita lo spillone in bronzo, nuragico, di Antas (Fluminimaggiore -Sud Sardegna), rinvenuto in un pozzetto votivo presso una tomba singola a inumazione, nuragica, databile al IX sec. a.C. (ma che potrebbe anche risalire fino al X-XI sec. a.C.), con una breve iscrizione riconosciuta in Cipriota classico o (se risalente all’XI sec.) in Cipriota-Minoico arcaico (Perna, Zucca 2017). Questo spillone iscritto viene dunque ritenuto un forte indizio della presenza in Sardegna, tra Bronzo Finale e Primo Ferro, di (almeno) un cipriota dotato di cultura scribale. Dalla pagina 204, per poco più di 5 pagine, si entra nel vivo con la fusaiola di Uras (autore Massimo Perna). Fusaiole litiche (questa è in steatite, una roccia metamorfica, varietà compatta di talco, di colore verde, somigliante alla giada) sono più rare delle comuni fittili (in ceramica), ma esemplari simili (anche se non altrettanto scritti) sono noti sia in Sardegna che a Cipro. Nel saggio “Storiografia del problema della ‘scrittura nuragica’” (2012; https://ojs.unica.it/index.php/BollStudiSardi/article/view/4805/4824) Zucca avanzava l’ipotesi (pag. 36) che i 6 segni della fusaiola di Uras potessero ascriversi al sillabario Cipriota-Minoico arcaico (CM1). Nello studio presentato a Orroli, che si proponeva di verificare questa attribuzione, si giunge invece ad ammettere come solo tre segni presentino una “allure” che rimanda a segni del CM1; e si riconosce che due di questi tre risultano segni elementari, ossia comuni a molti sistemi scrittori. Per cui si conclude che non vi sono elementi affatto sufficienti per affermare che si tratti di una iscrizione cipro-minoica. E dato il limite di non considerare altri sistemi scrittori, sui quali gli autori denunciano di non avere competenze specifiche (invero avremmo sperato fossero in grado di reclutarle, dalla loro posizione), le conclusioni restano sospese: la fusaiola è scritta, ma ancora non sappiamo con quale codice di scrittura. Quindi, nonostante si dibatta da oltre un secolo sulla “cosiddetta scrittura nuragica”, si riconosce che “forse l’unico apprezzabile lavoro sull’argomento” è quello di Zucca del 2012: cioè nulla di apprezzabile prima, ma (ancora più grave, a mio giudizio) nulla di così apprezzabile nemmeno nei 10 anni successivi. Se consideriamo che dopo il lavoro del 2012 è arrivata l’autenticazione della navicella fittile e iscritta di Teti (https://www.nurnet.net/blog/navicella-di-teti-riavvolgere-il-nastro-e-si-autentica-pero-non-puo-dirsi-datata-le-stime-al-riguardo-andrebbero-oggi-dal-ix-al-iv-secolo-a-c-ma-per-lepigrafia/; navicella allora non degnata da Zucca per la bassa qualità delle immagini alla cui visione si era limitato, pag. 34 del saggio del 2012); e se consideriamo, ora, questa disconferma dell’attribuzione al Cipro-Minoico già avanzata per la fusaiola di Uras (pure detto che al Cipro-Minoico si è almeno confermata, nel 2017, l’attribuzione dello spillone di Antas), quello che si presenta sembra un bilancio, in qualsiasi modo, poco lusinghiero per l’insufficiente impegno accademico sul tema (senza ancora stare ad aggiungervi, ma sarebbe il caso, i portati che dovrebbero seguire al ritrovamento sul Monte Ebal in Israele della lamina plumbea con la prima iscrizione del nome YHW, in caratteri protocananaici, che si direbbe simile a epigrafi già rinvenute in Sardegna). Un bilancio, dunque, che dovrebbe portare a seri impegni programmatici da parte di tutto il mondo dell’Archeologia (perché sarebbe sbagliato puntare l’indice proprio su Perna e Zucca, gli unici che in qualche misura procedono sul solco dell’impegno di studiare i più antichi reperti scritti in Sardegna, dichiarato nel 2019 quando fondavano a Oristano il Centro Internazionale per la Ricerca sulle Civiltà Egee). Davanti a questa sospensione, gli autori dal canto loro auspicano che per capire se si è di fronte a una vera scrittura si proceda a raccogliere tutto il materiale che si ritiene possa appartenere alla “scrittura nuragica”, così da realizzare una tavola dei segni affidabile, primo e indispensabile passo per lo studio di qualsivoglia scrittura sconosciuta. E non mancano di raccomandare l’importanza fondamentale delle necessarie analisi di autenticità e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei reperti, talvolta utili a svelare la loro provenienza. L’articolo dice tutto questo, ma se lo leggerete vi colpirà, probabilmente, più per altro. Forse limitarsi a quanto sopra sarebbe stato troppo umile; c’era magari il bisogno di risollevarsi, criticando qualcosa di ancor meno lusinghiero. Alla fine, infatti, paiono in primo piano le critiche a “quegli studiosi”, ma in breve si arriva a fare il nome di Gigi Sanna, nelle cui pubblicazioni, per cominciare, la documentazione fotografica (quando presente) è nella maggior parte dei casi di bassa qualità, così come i disegni (i grafemi trascritti nero su bianco) sono spesso frutto di fantasia (al punto che qualunque studio si avvalga di questi disegni o di queste foto è destinato a essere inficiato nelle sue conclusioni). Si ammonisce su quanto sia imprudente farsi un parere su una foto al punto da scriverne un articolo (le foto mentono, perché forniscono dettagli che talvolta non esistono); mentre dare giudizi o proporre ipotesi e letture sulla scorta del disegno di un’iscrizione che non è stata vista in prima persona rappresenta un errore grossolano, segno di scarsa professionalità (a pag. 206 l’interessante esposizione del metodo di Godart e Olivier per ottenere invece fac-simili di reperti scritti assolutamente affidabili). Si taccia poi di atteggiamento dilettantistico, dal quale ci si dovrebbe astenere, il fare riferimento a codici scrittori di vario tipo e di diversa datazione (la “scrittura in mix” teorizzata da Gigi Sanna) per identificare e leggere una scrittura della quale non si avrebbe neanche una precisa tavola dei segni (il Prof. Sanna si è impegnato, in realtà, a sviluppare e aggiornare una tavola dei segni, che evidentemente gli autori non considerano affatto precisa). E si prescrive debbano scartarsi i segni naturali o casuali o realizzati con scopi decorativi (intendendo tali molti dei segni pubblicati e interpretati da Gigi Sanna). Si passa infine a considerare specificamente la pubblicazione del Prof. Sanna sulla fusaiola (per lui un sigillo, con caratteri di tipo gublita): si critica che nessuna foto del documento sia presente nella pubblicazione e si osserva che, a parte uno dei 6 segni, nessuno degli altri, come disegnati, riproduce fedelmente i segni reali, così che l’accostamento alla scrittura gublita (giudicato, per sé, frutto di un’ipotesi storicamente, archeologicamente e linguisticamente già azzardata) risulta immediatamente inficiato (i segni realmente incisi sulla fusaiola di Uras non hanno nulla a che vedere, è la sentenza, con la scrittura gublitica). Purtroppo, si conclude, molti oggetti che presentano dei segni considerati, a torto o a ragione, segni di una scrittura “nuragica” sono stati pubblicati in questo modo. É chiaro quindi che il problema dell’esistenza di questa “scrittura” non può essere affrontato in maniera dilettantistica. E con ciò si è detto che il Prof. Sanna si muove in modo imprudente, azzardato, grossolano, scarsamente professionale, dilettantesco. Un giudizio quantomeno sbilanciato, che lascia del tutto in ombra i meriti e le attenuanti del Prof. Sanna, studioso dei reperti/documenti generoso e, non certo per sua scelta, solitario, da oltre 20 anni; che ha sopportato ostracismo e attacchi personali per i quali meriterebbe piuttosto delle scuse (non ultimo per le mancate risposte dell’Accademia a sue lecite richieste, come quella più volte ribadita proprio al Prof. Zucca circa la diffusione delle immagini dei singoli segni, forse alfabetici, su frammenti di modelli di nuraghe da Mont’e Prama, segnalati come problematici, ma non mostrati, in una pubblicazione dello stesso Zucca del 2014, a 6 anni da che li poté osservare nel Centro di Restauro di Li Punti con l’allora Direttrice, la dottoressa Antonietta Boninu). Il Prof. Sanna auspica fin dall’inizio si proceda agli approfondimenti ora richiesti, allo stesso modo, dagli autori più avvertiti; nel mentre si è dovuto spingere, in un terribile isolamento, verso interpretazioni che potranno essere pure largamente sconfermate, ma in qualche parte ancora aspettano una verifica, non scontatamente negativa. Se lo conosco, potrebbe trovare (ma non è detto) che l’articolo di Zucca, Perna e Tocco sia comunque un passo in avanti, dove lo si riconosce e si dialoga con lui, ammettendo (gli autori) i propri limiti, l’infondatezza di loro prime ipotesi e la necessità di procedere negli studi con i mezzi di un vero dipartimento. Del resto lo si coglie in fallo in uno studio del 2004 (entro una pubblicazione di quasi 600 pagine dai costi editoriali elevatissimi, ci mancavano le foto a colori…), quando lo stesso Prof. Zucca impiegò altri 8 anni per scrivere sulla stessa fusaiola, nel suo saggio, interpretazioni oggi altrettanto smentite (e senza giungere, allora, a mettere in discussione la bontà della trascrizione dei segni del 2004, nonostante ebbe già modo di esaminarla personalmente nel 2011). Nel merito dell’articolo ancora due riserve (forse per miei limiti personali), anzi tre: la prima quanto al giudizio che epigrafi con alfabeti noti non possano essere scrittura nuragica (pure quando dovessero esprimere lessico ignoto alla lingua che gli stessi alfabeti normalmente codificano?); la seconda quanto al giudizio, dal sapore troppo apodittico, che riconoscere nella stessa epigrafe la presenza di grafemi da più alfabeti sia per forza poco serio (pure quando i grafemi non appaiano a nessuno riconducibili a un singolo alfabeto?); la terza sul titolo, “Indizi di scrittura antica in Sardegna”, dove non si capisce perché si dovrebbe trattare di “indizi” (forse si è prima scritto “indizi di antica scrittura sarda”, per trovarlo poi troppo generoso, troppo ardito, al che correggendo con “scrittura in Sardegna” non ci si è accorti che “indizi” risulta fuori luogo). Spiace, infine, che questi atti di Orroli 2020 arrivino solo adesso alla nostra attenzione. Spiace perché vi si riscontra il segno di una comunicazione povera e un po’ misera nell’ambiente dei nostri studi antichi, tra studiosi, accademici e appassionati. Non c’è quasi giorno, per dire, che al Prof. Sanna non giungano critiche dai suoi detrattori, archeologi o appassionati; ma nessuno, dal Settembre 2020 e poi 2021, gli ha mai saputo citare questo articolo da Orroli che lo sconfessa sulla comprensione dei segni della fusaiola di Uras; c’è da giurare che se fosse stato sufficientemente noto (il lavoro di Zucca, Perna e Tocco) sarebbe stato, eccome, usato contro di lui; e noi lo avremmo, per conseguenza, conosciuto ben prima. Giungo a dire che avrei trovato consono agli scambi personali già intercorsi (e al comune interesse) che il Prof. Zucca mi segnalasse questo suo lavoro. Tra tutti, siamo questo; e anche per questo la strada non mi appare proprio in discesa.