LA PROF.SSA MONGIU: BASTA FOGHE NEGAZIONISTE SULLE ANTICHE ISCRIZIONI SARDE, FORSE PRE-FENICIE.

di Francesco Masia

Il 23 Febbraio, nella Basilica di San Saturnino (a Cagliari), si è tenuto il 14º appuntamento dei “Dialoghi di archeologia, architettura, arte e paesaggio”, organizzati dal Museo Archeologico Nazionale di Cagliari (MANC).

La Prof.ssa Luisa D’Arienzo, paleografa e Presidente della Deputazione di Storia patria della Sardegna, ha presentato una relazione dal titolo “Scripta manent? Considerazioni sulla scrittura, sopravvissuta, in Sardegna”. L’evento resta fruibile a questo link: https://fb.watch/jncE6fa6JJ/ (la telecamera riprende solo la Prof.ssa D’Arienzo e la Prof.ssa Maria Antonietta Mongiu, che introduce e “presiede” l’evento; purtroppo non si vedono, perciò, le immagini proposte ai convenuti).

Di seguito si propongono alla lettura: un estratto dal testo postato il 20 Febbraio sulla pagina Facebook del MANC per pubblicizzare l’evento; quindi estratti dagli interventi della Prof.ssa Mongiu e della Prof.ssa D’Arienzo; e, infine, alcune considerazioni ispirate da tutto questo. Anzitutto l’estratto dal testo del 20 Febbraio dalla pagina Facebook del Museo (https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid0ntngEK6hqM2ythnzwmZPQ4oUiPmzPo8QMSH4WpjV8DfC5AzBvYJ54wA53DEvTo3wl&id=100064448032379); testo non firmato, che però si direbbe riconducibile (alla luce di quanto dalla stessa pronunciato il 23 Febbraio in San Saturnino) alla Prof.ssa Mongiu, Archeologa, dal Luglio 2007 al Febbraio 2009 Assessore regionale a Pubblica Istruzione, Beni Culturali e Sport, quindi dal Gennaio 2021 nel Consiglio di Amministrazione del MANC.

Una richiesta alla pagina del Museo circa la paternità (o maternità) del testo non ha avuto esito. Il testo, in verità, è qui in qualche punto reso (si ritiene) meglio comprensibile, con l’impegno di interpretare fedelmente l’originale (chi vorrà potrà giudicare se il risultato sia onesto e quanto ve ne fosse davvero il bisogno).

«Tra le tante discussioni uggiose sulla Sardegna antica, quella sulla scrittura merita ampia attenzione. La poniamo tra le discussioni uggiose per il possibile senso di fastidio che può generare: perché da una parte, acriticamente, si insiste non solo sull’esistenza, ma persino sulla presunta primogenitura di una scrittura sarda; e dall’altra, con pari foga ideologica, se ne nega l’esistenza. A oggi non è accertato, comunque, che sia esistita una scrittura in Sardegna in epoca nuragica. Su questo tema, i massimi archeologi del nuragico che ci hanno lasciati (tra i quali Massimo Pallottino, 1909-1995, che ebbe cattedra anche in Sardegna; e Giovani Lilliu, 1914-2012) si sono espressi per la totale assenza di una documentazione che fosse attendibile. Ora, le acquisizioni assai innovative dell’archeologia di questi decenni, specie per il Neolitico e le fasi del Bronzo, potranno superare le teorie falsificazionistiche» (?) «e quelle negazionistiche in favore di indagini più accurate e per singoli casi. Ancora, però, dobbiamo indicare l’epoca fenicia per le prime attestazioni certe sull’uso d’un alfabeto “organizzato”, grazie al ritrovamento di numerosi reperti, il più celebre dei quali è la cosiddetta stele di Nora, databile al IX sec. a.C. (ritrovata nel 1773 nei pressi della chiesa di S. Efisio a Pula).»

Ora gli estratti dagli interventi (a San Saturnino, il 23 Febbraio) della Prof.ssa Mongiu:

«L’Europa è stata costruita da persone che si muovevano di isola in isola, da Cipro fino alla Sardegna, che acquistò una rilevanza straordinaria soprattutto nell’Età del Bronzo e nell’Età del Ferro. Nel vedere esposti i reperti sardi insieme ai reperti di Cipro e di Creta, a Cambridge» (la Prof.ssa Mongiu si riferisce alla mostra appena allestita al The Fitzwilliam Museum di Cambridge, “Islanders: The Making Of The Mediterranean”, di cui il Museo Archeologico di Cagliari è partner con il prestito di 93 reperti, dal Neolitico Medio all’età punica, che illustrano la storia della Sardegna e dei suoi rapporti con le altre terre che si affacciano sul Mediterraneo; https://www.independent.co.uk/news/uk/fitzwilliam-museum-mediterranean-sardinia-cambridge-crete-b2283381.html) «, era impressionante cogliere il denominatore comune. Una mostra che sarebbe piaciuta molto a Giovanni Lilliu, perché di fatto ha superato ogni pregiudizio, ogni stigma o autostigma (i Sardi non navigavano, eccetera), e rende evidente quanto i Sardi siano stati vettori di commerci nel mondo antico. Sembra lontano le 1000 miglia (mi riferisco ai colleghi con i quali ho fatto l’università) quando si discuteva sulla parola vettori: erano i Fenici, i Micenei… E i Sardi li, “stuggiati”» (slang cagliaritano: nascosti) «da qualche parte… E invece, in realtà, erano coloro che andavano a Cipro, si facevano anche seppellire lì, si portavano appresso anche le “ciottolone” loro, eccetera. Vi ricordo la lezione di Fulvia Lo Schiavo» (24/11/22, 7º dei ‘Dialoghi di Archeologia, Architettura, Arte e Paesaggio’: “Dai lingotti ‘a forma di pelle di bue’ alla circolazione del rame nel Mediterraneo e oltre”) «, ma con Cambridge siamo andati anche oltre quel racconto, per l’approfondimento di questa giovane studiosa» (credo la Prof.ssa si riferisca ad Anastasia Christophilopoulou, archeologa dell’Università di Cambridge, responsabile per il Fitzwilliam Museum degli studi su Grecia, Cipro e Roma antiche) «che ci ha coinvolti, cui sono molto riconoscente. Significa che quando si iniziano percorsi di così profonda autocoscienza, ma fatti seriamente, scientificamente, l’esito non può che essere positivo.» (?)

«C’è da chiedersi se vi sia una vera discussione quando da una parte si dice “i nuragici scrivevano” e dall’altra si ribatte “no, non scrivevano”… Credo che, dopo il racconto che vi ho fatto poc’anzi, possa risultarvi chiaro come si tratti d’una discussione tediosa quanto manieristica e retorica. Lo stigma» (il dogma?) «che le culture siano “quelle con la scrittura” è uno stigma» (un dogma?) «abbondantemente superato. Se dovessimo ragionare in termini corretti e “per tabulas”, in realtà il museo di Cagliari conserva la forma di scrittura più esplicita» (la più antica forma di scrittura “esplicita”?) «che il Mediterraneo abbia prodotto: la stele di Nora. Credo possiamo convenire tutti, come ci hanno insegnato i neuroscienziati, che laddove la scrittura nacque nel Vicino Oriente antico, tra Neolitico Medio e Neolitico Recente, come forma di conservazione d’una memoria che riguardava i traffici, va da sé che da quel momento in ogni luogo dove questo sia accaduto» (dove tali traffici si siano estesi?) «, compresa la Sardegna, si tratta di cercarla e di capire di che scrittura si tratti (se è reale che quella iscrizione di Nora non era un’autoreferenzialità, quanto un testo che richiedeva evidentemente interlocutori). La professoressa d’Arienzo naturalmente si occuperà, più che della parte più antica (di cui si occuperanno altri), della parte di cui è più esperta, che sicuramente è quella medievale e delle grandi cancellerie che hanno prodotto gli “scriptoria”. La cosa interessante è che in 45 anni lo sviluppo dell’archeologia sarda di tutti i periodi ha moltiplicato gli elementi per i paleografi in modo particolare, ma anche per altro tipo di specialisti, da che negli scavi si lavora senza buttare i cocci che prima si buttavano tutti, in quanto si raccoglievano soltanto i reperti integri. Invece la mia generazione ha iniziato a raccogliere i cocci, a lavarli, a schedarli. Da parte della storiografia sarda c’è stato un atteggiamento molto interessante da studiare; è molto interessante, secondo me, questa cosa del dire “tutto è stato distrutto, non c’è nulla”; oppure, invece di “non c’è nulla”, mi invento tutto, falsi eccetera. C’è una mitopoietica interessantissima… In questa fase della mia vita, essendo arrivata in senectute, a dir la verità sono più interessata a questi processi di rimozione o di invenzione. A Cambridge c’è addirittura una cattedra che analizza soltanto processi di questo genere.»

Di seguito un estratto dalla lezione della Prof.ssa D’Arienzo, la quale, come anticipato dalla Mongiu, ha giusto ribadito quanto già accennato sulla stele di Nora per approdare subito, con un certo sollievo, più vicina al suo campo di interesse. Del tema della “scrittura nuragica” si occuperanno altri, diamo fede alla Mongiu (nell’ambito di questi “Dialoghi” organizzati dal MANC? Chissà…). Eppure, riguardo ai ragionamenti sulla scrittura in età nuragica, qualcosa di interessante la D’Arienzo ci sembra l’abbia detta, oltre all’indicare gli sfondoni di illustri paleografi che era faticoso smentire (come Luigi Schiapparelli, 1871-1934) e oltre a ricordare come tra i più grandi attentatori al patrimonio storico sardo vi siano state figure che, per gli incarichi loro riconosciuti, avrebbero invece dovuto tutelarlo: in primis due direttori del Regio Museo di Cagliari (Leonard de Prunner, 1760-1831, responsabile dello smercio ad altissimo livello di idoli falsi; e Gaetano Cara, 1803-1877, che curò la vendita illegale di una grande collezione costituita dai materiali recuperati nel corso delle sue ricerche a Tharros) e un direttore dell’archivio di Stato di Cagliari (il cagliaritano Ignazio Pillito, autore nel 1845 delle false carte dette d’Arborea, attraverso le quali si tentò di colmare il vuoto storico della Sardegna medievale e di far prevalere la tesi che i giudicati avessero avuto il loro germoglio nell’isola e non fuori).

«La Sardegna non ha conosciuto cuneiforme (sumerico, siro-babilonese) e geroglifico: si tratta di civiltà, culture, scritture (risalenti al 3000, 3500 a.C.), che non sono giunte in Sardegna.» «Lasciato l’ambito di Fulgenzio e della basilica di San Saturino» (il vescovo Fulgenzio, che era riuscito a farvi ritorno, morì in Africa nel 537 d.C.; era uno dei 60 vescovi nordafricani esiliati a Cagliari dal re dei Vandali, Trasamondo, fedele all’Arianesimo cui i 60 non si piegarono) «, basilica dove certamente si scriveva (in Latino e Greco), c’è un vuoto scrittorio pazzesco, non c’è più niente, non si trova più niente. Questo vuoto di scrittura e di storia era sembrato potesse risultare attenuato almeno dal passaggio in Sardegna, all’inizio dell’VIII secolo, di un codice chiamato Orazionale Mozarabico, scritto a Tarragona e passato attraverso l’Italia, si sarebbe detto a Cagliari prima che a Pisa, per finire a Verona (si tratta del manoscritto che comprende, in forma di appunto aggiunto, il celebre “indovinello veronese”, per molti l’atto di nascita del volgare in Italia). Il punto è che questa presunta sosta cagliaritana fondava su un pezzo di pergamena tagliato; dove, in realtà (periziato il documento a Verona), non si legge niente. Ma Schiapparelli (Luigi, 1871-1934), paleografo molto autorevole, così l’aveva letto: “Flavius Sergius bicidominus sancte Ecclesie Calaritane”. E nessuno aveva avuto il coraggio di dire niente; anzi, ci hanno costruito sopra un sacco di cose (c’era questo, e allora è stato possibile questo…), per cui sarebbe il caso che chi le ha scritte le riveda (giacché questo codice, in definitiva, non è mai passato in Sardegna). Di questo vuoto di scrittura e di storia si sono approfittati, nell’800, i falsari; è il caso delle suddette “false carte d’Arborea” (magistralmente realizzate nel 1845, per denaro, dal menzionato direttore dell’archivio di Stato di Cagliari, Ignazio Pillito).

Quindi, dopo questo vuoto di documenti, nella realtà i primi documenti scritti li ritroviamo solo dopo il 1000, nel 1100» (eppure si continuerà a scrivere in caratteri greci, anche se in Latino o già in Sardo; anche per questo è del tutto ragionevole dare per scontato che in Sardegna, lungo i secoli trascorsi da Fulgenzio, si sia comunque continuato a scrivere).

Quali considerazioni può ispirare tutto questo? La carne al fuoco è davvero tanta. Aiuterà ora la sintesi il fatto che chi scrive non ha, dichiaratamente, specifiche competenze in materia; quindi solo onesto giornalismo (mettere insieme i pezzi, secondo logica, come da qualche anno a questa parte). Intanto c’è da salutare molto positivamente che la Prof.ssa Mongiu scelga di smuovere le acque, criticando i modi con cui ancora si porta avanti la “discussione” sulla scrittura tra i Sardi del Nuragico; discussione tra virgolette, perché la trova sterile (finanche fastidiosa), bloccata tra posizioni acritiche, aprioristiche, animate da pari e contrapposta foga ideologica. Bene, ma sarebbe una gran cosa sapere di chi stia parlando.

Non penso consideri i confronti tra appassionati sui social; credo riservi la sua attenzione ai propri colleghi. Quindi chi sarebbero, per cominciare, gli acriticamente schierati con la tesi d’una scrittura “nuragica”? Forse non vuole degnare il nome del Prof. Luigi Amedeo (Gigi) Sanna; magari è per non nominare lui che non cita nessuno. Eppure potrebbe fare altri due nomi, o anche tre: quello del Prof. Francesco Cesare Casula, quello della Dott.ssa Caterina Bittichesu e quello del Prof. Gian Matteo Corrias. Il Prof. F.C. Casula (storico, già ordinario dell’Università di Cagliari, paleografo, pure lui –come la D’Arienzo– nella Deputazione di Storia patria della Sardegna) ha rotto gli indugi riconoscendo la scrittura ai Nuragici nel 2017, con un chiaro avallo agli studi del Prof. Sanna (in “La storia di Sardegna”, nuova edizione, Carlo Delfino ed., primo volume, nota 1). La Dott.ssa C. Bittichesu (archeologa) nel suo “Culto degli antenati • nell’Età del Bronzo della Sardegna” (Nuove Grafiche Puddu ed., 2017) dedica 9 pagine ai “Documenti con segni di scrittura rinvenuti nei monumenti funerari nuragici”, anche lei con un chiaro avallo agli studi del Prof. Sanna. Il Prof. Gian Matteo Corrias (latinista) nei suoi studi sulle antiche culture mediterranee incrocia gli studi del Prof. Sanna (specie per l’interesse verso il culto di Yhwh) e anche lui largamente li apprezza. Diciamo, quindi, che quattro figure sulla sponda dei favorevoli potrebbero essere le suddette (pur non scorgendosi in loro una foga ideologica preconcetta). Ma le figure animate da foga contraria, a questo livello, quali sarebbero? Un amico parla, a proposito di un gruppo di archeologi notoriamente contrari a ogni nuova rilettura (e molto attivi nel darvi pubblicamente battaglia), della “Wagner dell’archeologia sarda”: saranno loro? Per il resto, capiamo che al di là del suo titolo e delle promettenti premesse, non era questo il dialogo in San Saturnino giusto per interrogarsi a dovere sul tema “scrittura in Sardegna prima dei Fenici”; come ha anticipato la Mongiu, la Prof.ssa D’Arienzo coltiva un altro campo ed era logico corresse verso quello.

Così chi ancora non sapeva continuerà a ignorare che nella Sardegna antica non si parla solo della stele di Nora, ma di tante altre epigrafi, tra le quali sono poche quelle già in qualche modo studiate e pubblicate: la navicella fittile di Teti, autenticata con la termoluminescenza, recante tra i suoi altri grafemi un carattere a pugnaletto nuragico (a elsa gammata); lo spillone bronzeo da una sepoltura di Antas (Fluminimaggiore), la cui iscrizione é ricondotta dai Proff. Zucca e Perna al sillabario Cipro-Minoico; la fusaiola in steatite da Uras, che gli stessi Perna e Zucca ammettono non sia riconducibile al Cipro-Minoico (senza trovare colleghi che sappiano inquadrarla in altro modo); e svariati altri, ancor meno pubblicati e (ufficialmente) studiati (il vaso di S’Arcu ‘e is Forros, sommariamente ascritto al Filisteo dallo scomparso Garbini; altre iscrizioni su ceramica da Sant’Imbenia; in generale oltre una decina di iscrizioni su reperti fittili e molte di più su pietra, qualcuna su bronzo). La D’Arienzo ha esordito escludendo la Sardegna da influssi sumeri, siro-babilonesi ed egizi, ma è un modo diremmo grossolano di tagliar via argomenti aperti, come attestano per esempio la recente collaborazione avviata tra Museo Sanna e Museo Egizio (https://www.cagliaripad.it/585341/il-museo-egizio-sbarca-in-sardegna-firmato-laccordo-tra-enti-museali/) e l’annosa vicenda del riconoscimento, da parte dello scomparso assiriologo Giovanni Pettinato (1934-2011), di segni cuneiformi sul coccio di Mogoro (reperto ufficialmente scomparso anch’esso; http://gianfrancopintore.blogspot.com/2011/01/la-storia-del-coccio-di-mogoro-secondo.html?m=1).

Ma ci ha colpito, la Prof.ssa D’Arienzo, quando ha evidenziato un vuoto di scrittura in Sardegna lungo tutta la seconda metà del primo millennio d.C.. Si tratta, capiamo meglio, di un vuoto di pergamene; restano infatti tracce di scrittura nella monetazione, in lapidi, in sigilli. Ma un’assenza di pergamene così estesa, anche dai pur noti archivi di allora (è ritenuto tale, per la concentrazione di sigilli, quello di San Giorgio di Sinis), rende la relativa difficoltà di trovare convincenti documenti scritti tanto più in antico (diciamo dalle “istoriazioni” di Sa Mandra Manna, a Tula, ante XVI secolo a.C., fino alla stele di Nora) niente affatto strana, niente affatto anomala. Ancora dal testo del MANC: “i vincitori hanno sempre tentato di distruggere la cultura e la memoria scritta dei vinti, a partire dai loro archivi. La scrittura, infatti, è potere, come già dimostrarono i Romani attraverso la pratica della damnatio memoriae, finalizzata alla distruzione dei ricordi dei nemici; ma in Sardegna, nonostante le reiterate devastazioni, è rimasta una significativa traccia della cultura e delle scritture isolane.”

Speriamo, infine, la Prof.ssa Mongiu voglia andare avanti. Siamo ovviamente con lei, quando dice che se la scrittura nasce per i traffici e si diffonde, con essi, in ogni luogo dove tali traffici si siano estesi (perciò certamente anche in Sardegna e da prima del I millennio a.C.), occorre cercarla e capire di che scrittura si tratti. E se fossimo caduti nella foga aprioristica, saremo sempre felici di esserne emendati.