Ancora su Tartesso

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di Giorgio Valdès

Riprendiamo un argomento che riteniamo piuttosto interessante, anche sotto l’aspetto mediatico.

Il poeta latino Avieno (IV sec. a.C.) nella sua “Ora Maritima” attestava, a proposito di Tartesso, la biblica terra dei metalli, la presenza della popolazione pastorale dei Berybraces (Ora 485 : Berybraces illic, gens agrestis et ferox / pecorum frequentis inter errabant greges ), poco oltre il fiume Tyrius.

I Berybraces/Bebrici, provenivano originariamente dalla Pontide ed erano confinanti con il regno di Argantonio, che si sarebbe in seguito trasferito ad occidente fondando appunto Tartesso, di cui sarebbe stato il primo re storico.

Anche un certo numero di Bebrici seguirà Argantonio nella sua nuova terra, attestandosi, come affermava Avieno, “poco oltre il fiume Tyrius”.

Questo fiume secondo i sostenitori della Tartesso iberica (tra cui l’esimio latinista e grecista Luca Antonelli, da cui scritti sono tratte le considerazioni di Avieno) si identificherebbe con il Guadalquivir.

Sempre Avieno affermava inoltre che “nella regione tartessica esisteva un Argentarius mons e che dal monte dell’argento scenderebbe il fiume Tartesso”.

Esisteva quindi anche un fiume Tartesso le cui acque, secondo il poeta greco Stesicoro (VI sec.a.C.) “erano ricolme d’argento” (Paolo Bernardini – Le torri, i metalli, il mare)

Dal canto suo il poeta romano Ovidio (I sec. A.C.), narrando la triste storia della ninfa Canente (il cui amato sposo era stato trasformato in picchio dalla maga Circe), così scriveva: “Sulle spiagge di Tartesso si spegneva il tramonto del sole e invano gli occhi e il cuore di Canente avevano atteso il ritorno dello sposo. Servitori e popolo al lume delle torce perlustrano in ogni luogo tutte le selve. E la ninfa non si accontenta di piangere, di strapparsi i capelli, di percuotersi il petto; fa, sì, tutto questo, ma poi corre fuori e vaga impazzita per le campagne del Lazio. Per sei notti e per sei giorni, quando tornava a splendere il sole, fu vista vagare senza dormire e senza cibarsi per monti e valli, dove la guidava il caso. L’ultimo a vederla fu il Tevere….

E’ del tutto intuitivo che, rispetto al Lazio ed al corso del Tevere in particolare, le prime spiagge ad occidente, dove tramonta il sole, non potevano che essere quelle della Corsica o della Sardegna e non certo quelle situate sulla costa Atlantica della Spagna in prossimità di Cadice.

Ma è ugualmente legittimo domandarsi se il Tyrius possa essere il Tirso e non il Guadalaviar, se la popolazione pastorale dei Bebrici possa assimilarsi ai Barbaricini, se il Monte dell’Argento abbia qualche attinenza con il Gennargentu e se le acque ricolme d’argento del fiume Tartesso non richiamino alla memoria l’antica definizione greca della Sardegna: “Argyròphleps Nesos”, l’isola dalle vene d’argento.

Infine, è possibile che il fiume Tartesso possa identificarsi con il Flumendosa, l’antico Saeprus flumen, le cui foci sono appunto sui monti del Gennargentu e che sfocia sulla costa orientale della Sardegna dopo aver traversato territori celebri per le miniere d’argento?

Non traiamo conclusioni, ma ci limitiamo a esprimere qualche perplessità sulla collocazione di Tartesso in Iberia.

Nelle foto: il nuraghe Serra Madau di San Vito, a guardia del Flumendosa e dei suoi affluenti (foto di Marco Cocco) e il nuraghe S’Acqua Seccis di Muravera, (foto di  Sergio Melis, Gianni Sirigu e Alex Meloni) e il villaggio minerario abbandonato di Monte Narba a San Vito (foto Sardegna Abbandonata), prossimi alla foce del Flumendosa.