La sacralità delle tombe di giganti – TdG “Pascaredda” a Calangianus

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di Giorgio Valdès

L’archeologo Paolo Melis, in un capitolo tratto dalla collana “I Tesori dell’Archeologia”, descrive con maestria e lirismo il magnifico ambiente in cui si inserisce la tomba di giganti di Pascaredda (Calangianus), fornendo nel contempo un’affascinante interpretazione sulla funzione di questa sepoltura e per esteso delle svariate tombe di giganti dislocate in diverse aree territoriali della nostra isola.

Tempo fa, da semplice appassionato, avevo prospettato una personale interpretazione sul significato di queste straordinarie sepolture, con particolare riferimento alla stele centinata delle tombe di giganti di tipo dolmeico http://gianfrancopintore.blogspot.com/2010/11/lesedra-delle-tombe-dei-giganti_23.html

Significato che avevo successivamente riproposto sulla pagina fb di Nurnet e che, a ben vedere, non si discosta da quello che si evince appunto dalla lettura del citato articolo di Paolo Melis:

“Forse è la solennità del Monti di Deu, che chiude verso Est il popoloso altipiano posto a settentrione del Limbara, ad aver alimentato il senso di sacralità insito anche nel toponimo. Oppure è l’incanto di quel contrasto fra il grigio rilucente del granito, il verde cupo che orna le pendici e i colori della piana coltivata che si estende ai piedi del monte, ad alimentare la suggestione.

In realtà bastano le testimonianze della storia multimillenaria di questi luoghi ad accrescerne l’interesse.

Infatti l’insediamento è stato qui favorito dalla conformazione del paesaggio, che consente il controllo del territorio fino ai valichi che aprono l’altipiano verso la Gallura orientale.

I nuraghi ’Agnu’, ‘Bonvicinu’ e ‘Budas’, con le capanne che punteggiano gli spazi intorno, la fortezza che si articola sulla cima del Monte (669 metri s.l.m.), le strutture di avvistamento poste sulle creste granitiche circostanti attestano la consapevolezza del territorio già in età nuragica.

Quasi ad affermare l’autorità della società stanziata attorno a Monti di Deu è la tomba di giganti di Pascaredda, che con la sua monumentalità e le sue dimensioni rafforza il senso dell’appartenenza e della cooperazione che doveva caratterizzare i gruppi stanziati nell’ambito di un’unità territoriale.

La tomba è posta a poche decine di metri dal Rio San Paolo che segna la valle assumendo varie denominazioni lungo il suo corso.

Giungervi non crea difficoltà: si percorre la strada statale 127 in direzione Tempio-Calangianus e diopo 5 chilometri si svolta a destra. La segnaletica chiara indica un percorso carrabile che prosegue con un antico sentiero pedonale per condurre ad un suggestivo viottolo lungo il Rio Badumela, fino a varcare un ponte di legno fra gli ontani secolari cresciuti lungo gli argini del corso d’acqua.

Una valle orlata da sugherete ospita la tomba che si presenta alla vista come una collina per via del tumulo, che è stato conservato nella sua completezza. L’antica maestosità del sepolcro si legge soprattutto nella serie di monoliti che coronano l’esedra, posti 9 per parte in altezza scalare rispetto alla stele centrale. La mancanza della parte superiore di quest’ultima, sottratta nel corso dei secoli, altera di poco la monumentalità originaria per le dimensioni della porzione residua larga m. 2,30.

Il tumulo di terra e pietre copre completamente il corpo della tomba, lasciando attualmente in vista soltanto la serie di dodici lastroni di granito della copertura del corridoio sepolcrale, quest’ultimo inserito in un corpo murario di oltre 13 metri di lunghezza.

A metà circa del loro corso uno spazio libero fra due lastroni diversamente sagomati può essere scambiato per una lacuna; si tratta, in realtà, del vuoto originariamente coperto da un elemento amovibile: una sorta di botola funzionale al seppellimento, che veniva spostata e poi rimessa al suo posto e ricoperta di terra.

Questo particolare, unito all’uso ormai accertato della sepoltura dei defunti in deposizione primaria, ossia col corpo nella sua completezza, dà ragione anche delle dimensioni ridotte del portello posto alla base della stele centinata, quest’ultima simboleggiante la ‘falsa porta’. Esso riveste il valore simbolico di collegamento fra il mondo dei viventi e quello dei defunti, un legame rinvigorito anche in momenti particolari dei rituali di sepoltura e di ricordo che lo scavo ha evidenziato.

Infatti stoviglie e contenitori di terracotta ammucchiati sul lato destro dell’esedra, spesso frantumati secondo le usanze funerarie, ed avanzi di pasto raccontano delle offerte di cibi ai defunti nel corso di pasti rituali condivisi dalla comunità che vi partecipava.

L’ampiezza dell’area cerimoniale, di circa venti metri di corda, ne lascia immaginare la consistenza numerosa. Segno eclatante di un senso forte della collettività che permea la vita della società dell’Età del pieno Bronzo medio, e che si traduce nel senso dell’uguaglianza almeno di fronte alla morte.

La tomba comunitaria, infatti, senza distinzione di sesso né di età o di censo, ne è un chiaro segnale.

Nella sua lunga utilizzazione, dal XV al X secolo a.C., si percepisce il valore dell’identità che il popolo nuragico affidava al culto dei defunti”.   g.v.

Le foto delle tombe di giganti di Pascaredda, a Calangianus, sono di: Francesca Cossu, Marco Cocco e Nuraviganne. Quelle del nuraghe Agnu, a Calangianus e del nuraghe Budas, in territorio di Tempio Pausania, sono rispettivamente di Francesca Cossu e di Romano Stangherlin.