Nella Sardegna nuragica…non solo il culto dell’acqua

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Si è parlato a lungo, e anche ultimamente, dell’introduzione della viticultura in Sardegna.

Guarda caso, in un recente articolo comparso sulla Nuova Sardegna, si cita una cantina sarda che pare essere l’unica a lavorare l’uva con non meglio precisati “vitigni autoctoni di età fenicia”. (cfr. primo link)

Sicuramente esiste una corrente del pensiero che attribuisce a questi fantomatici Fenici tutto ciò che di bello e di buono arrivò in Sardegna tra il IX e l’VIII secolo a.C., ma c’è qualcosa che non torna.

Si tratta difatti di una teoria che fa acqua da tutte le parti, al punto d’essere stata contestata in un articolo pubblicato nell’aprile del 2015 sulle pagine dello stesso quotidiano sassarese, dove tra l’altro è scritto che “già 1300 anni prima di Cristo i Sardi bevevano vino” (cfr. secondo link)

Un anno e rotti più tardi, nel dicembre del 2016, ci si è messo pure il quotidiano La Repubblica a rompere le uova nel paniere agli “onnipresenti” Fenici, in un servizio che esordisce in questo modo: “ I sardi sono stati i primi a coltivare la vite e a produrre il vino nel Mediterraneo quasi tremila anni fa. Non va dunque ai Fenici, che colonizzarono l’isola attorno all’800 a.C., il merito di aver introdotto la vite domestica nel Mediterraneo occidentale. Si trattò piuttosto di un fenomeno autoctono”. (cfr terzo link)

Dal canto nostro, in un post pubblicato sul nostro sito e sulla corrispondente pagina fb nel lontano aprile del 2014, avevamo scritto quanto segue:

Abbiamo tratto alcuni passi dallo scritto di Mario Sanges, della Soprintendenza ai Beni Archeologici per le Province di Sassari e Nuoro, in cui si parla dell’introduzione del vino e della coltivazione della vite in Sardegna: <<Fino a qualche decennio fa, era opinione comune fra tutti gli studiosi del settore che l’arrivo in Sardegna del vino, e di conseguenza della successiva coltivazione della vite, fosse da far risalire alle fasi iniziali della colonizzazione fenicia (IX – VIII sec. a.C.), e che la vitivinicoltura diffusa in scala più ampia datasse alla successiva dominazione cartaginese (VI sec. a.C.), e poi romana (III sec. a.C.). Fortunate campagne di scavo condotte con i più moderni sistemi di indagine archeologica, coadiuvate da sofisticate analisi scientifiche, quali esami al Carbonio 14, pollinici e gascromatografici, nonché comparazioni con i siti extra insulari le cui genti hanno avuto contatti nella preistoria e nella protostoria con le popolazioni dell’Isola, hanno consentito di retrodatare, almeno a partire dalla fine dell’Età del Bronzo Medio (XV sec. a.C.) o dagli inizi dell’Età del Bronzo Recente (XIV sec. a.C.), la certezza della presenza in Sardegna della vite e del vino. A partire da tale periodo, infatti, si intensificano e si consolidano i rapporti bilaterali, già intrapresi in precedenza, con il bacino orientale del Mediterraneo e in particolare con il mondo miceneo. Compaiono nuove forme ceramiche più adatte alla conservazione e al trasporto di derrate, con le superfici esterne e interne particolarmente trattate al fine di contenere sostanze liquide di pregio, quali olio d’oliva e vino, nonché recipienti per la mescita e per il consumo di bevande come appunto il vino. Sono significative, a questo proposito, le diverse brocchette da vino, provenienti da livelli certi del Bronzo Recente, in ceramica ‘grigia nuragica’, ritrovate in alcune località della Sardegna: dal nuraghe Antigori di Sarroch, insieme a ceramiche micenee di importazione e di imitazione locale, dal complesso nuragico di Santu Pauli di Villamassargia, dalla grotta santuario di Pirosu Su Benazzu di Santadi, dal nuraghe Arrubiu di Orroli, e dal probabile scalo commerciale nuragico nel porto di Kommos, nelle coste meridionali dell’isola di Creta. Vale qui la pena di ricordare che la tradizione storiografica, sia pure in forma mitistorica, che in questo periodo ha la sua massima diffusione, narra che Aristeo, compagno di viaggio di Dedalo, introdusse in Sardegna la coltivazione della vite e dell’ulivo e l’allevamento delle api: notizie di un evento realmente accaduto, traslata e ricordata attraverso la narrazione mitica. Una conferma di quanto fosse radicata questa credenza, tramadataci da Pausania e da altre fonti antiche greche e latine, è data dal ritrovamento in territorio di Oliena, in località Sa idda ‘e su mele (il paese del miele), di un piccolo bronzo raffigurante Aristeo, con il corpo totalmente ricoperto di api. Nell’Età del Bronzo Finale (XII – IX sec. a.C.), che vede anche la Civiltà Nuragica al suo massimo apogeo, la presenza della vitivinicoltura nell’isola si fa più puntuale ed è suffragata da analisi scientifiche incontrovertibili. La coltivazione della vite è un fatto ormai acquisito da gran tempo, con tutte le operazioni connesse, compresi i processi di addomesticamento della “vitis vinifera silvestris”, ampiamente diffusa in tutto il territorio dell’Isola. Anche i contenitori “da vino” si modificano e si evolvono in forme tipiche della cultura sarda:‘brocche askoidi’ e piccoli ‘askos’ (vasi di forma simile a un otre), di squisita fattura, in ceramica e in bronzo, caratterizzeranno il repertorio vascolare sardo fino alla prima Età del Ferro ed oltre”. Vorrei aggiungere il resoconto del canonico Giovanni Spano sul ritrovamento della statuetta di Aristeo richiamata da Mario Sanges: “La statuetta che presentiamo fu trovata nel gennajo del 1843 nel villaggio di Oliana, nel salto chiamato Dule, nell’atto che si sarchiavan le fave in una vigna appellata De su Medde. Appena che seppimo d’essersi trovata questa statuetta, ne interessammo il sig. Can. C. Asproni, allora in Nuoro, il quale gentilmente corrispose, scrivendone subito al Vicario Parrocchiale di Oliana, Sacerdote sig. Salvatore Carrus il quale n’era il possessore. Questi con lettera del 27 luglio ci fece sapere il sito, e come venne trovata la statuetta in discorso, ed allo stesso tempo ce ne fece grazioso dono, per cui forma parte della nostra raccolta archeologica>>.

In definitiva si possono trarre tre semplici conclusioni. La prima è che i nuragici non erano astemi. La seconda è che la vinificazione in Sardegna può considerarsi un fenomeno autoctono di antichissima origine. La terza è che alcuni dei così detti fenici, una volta giunti nella nostra isola, avranno sicuramente beneficiato della proverbiale ospitalità dei sardi, sorseggiato insieme un ottimo cannonau locale all’interno di un accogliente “zilleri”.

In allegato: Il nuraghe Arrubiu di Orroli (ph. Andrea Mura-Nuragando Sardegna e Pasquale Pintori), citato nell’articolo di Mario Sanges; la statuetta di Aristeo con il corpo ricoperto di api (citata nello stesso articolo); il torchio per il vino rinvenuto a Monte Zara (Monastir).

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https://www.lanuovasardegna.it/regione/2015/04/04/news/i-fenici-bevevano-il-vino-fatto-dai-sardi-1.11176524

https://www.repubblica.it/sapori/2016/12/19/news/sardegna_primo_vino_millenario-154444878/