di Giorgio Valdès
Da un po’ di tempo sta prendendo corpo l’ipotesi, assolutamente ragionevole, che Tartesso, la biblica terra dei metalli, potesse identificarsi con la Sardegna o quantomeno fosse collocata nella nostra isola.
https://it.wikipedia.org/wiki/Tartesso
Vorrei quindi fornire il mio contributo a tale ipotesi, riproponendo le considerazioni contenute in una piccola ricerca da me effettuata circa 12 anni orsono, integrando il precedente articolo pubblicato su questo sito. Da allora avrei dovuto aggiornarne il contenuto, ma non l’ho fatto per mera pigrizia. Tuttavia, nella convinzione che in esso ci siano comunque considerazioni e spunti di riflessione di un certo interesse, mi permetto di riproporlo all’attenzione di chi avrà la pazienza di leggerlo.
Nel 1905, un gruppo di studiosi tedeschi[1] annunciò di essere sulle tracce di un’antica civiltà, Tartesso, sulla costa atlantica della Spagna, nei pressi della foce del fiume Guadalquivir, conquistata dai Cartaginesi intorno al 553 a.C. Ebbene, secondo loro, Tartesso sarebbe Atlantide
( tratto da Il Portale del Tempo – Internet – )
Atlantide era l’isola leggendaria che Platone (427–347 a.c.), nei suoi Timeo e Crizia, raccontava ubicata oltre le altrettanto mitiche Colonne d’Ercole (o Colonne d’Eracle), il limite oltre il quale si apriva il grande fiume Oceano, che si credeva circondasse le terre allora conosciute.
Tartesso era la favolosa e mai trovata terra dei metalli, anch’essa posta oltre le Colonne d’Ercole, descritta da svariati geografi e storici greci e latini e citata per ben 21 volte nella Bibbia.
Atlantide e Tartesso erano accomunate da una situazione ambientale particolarmente felice, dalla grande disponibilità di prodotti naturali e dalla profusione dei metalli che caratterizzava i rispettivi territori.
Per diverso tempo, la convinzione che le Colonne fossero posizionate ai lati dello stretto di Gibilterra, ha fatto sì che le ricerche si siano soprattutto rivolte alla costa Andalusa (a Settentrione di Gibilterra) ed al territorio di Cadice in particolare, estendendosi successivamente a quasi tutti i continenti, dalle rive occidentali dell’Africa, sino alle Americhe ed al Giappone.
Da qualche tempo a questa parte, un’interessante teoria proposta dal giornalista Sergio Frau nel suo libro Le Colonne d’Ercole, un’ inchiesta ne ha rimesso in discussione la reale ubicazione.
Numerosi studiosi e ricercatori, tra i quali anche il nostro più famoso archeologo Giovanni Lilliu, hanno ritenuto verosimile tale ipotesi, convenendo sulla possibilità di un realistico posizionamento delle Colonne sulle sponde del Canale di Sicilia, tra l’attuale Tunisia e la Sicilia.
Se così fosse, non avrebbe più senso proseguire le ricerche oltre Gibilterra, mentre quell’isola di fronte allo stretto che voi chiamate Colonne d’Ercole… ricca di metalli allo stato solido o fuso che venivano estratti dalle miniere…. e dove due volte all’anno si raccoglievano i prodotti della terra…. (Platone – Timeo e Crizia -) potrebbe realisticamente essere la Sardegna, vista la sua posizione geografica e le caratteristiche del suo territorio, che corrispondono alla descrizione fatta da Platone.
Questa ricerca si propone principalmente lo scopo di individuare gli ulteriori indizi a sostegno di questa affascinante teoria che, se confermata, comporterebbe l’esigenza di una rivisitazione dell’antica storia dei territori che si affacciavano sul Mediterraneo Orientale e su quello Occidentale, il Grande Verde degli egizi.
Le principali fonti classiche di riferimento, di seguito citate, sono: Platone con i suoi richiamati Timeo e Crizia; Rufo Festo Avieno, poeta latino vissuto nel IV secolo d.C. il quale, nella sua Ora Maritima (le Coste Marittime), individua diverse corrispondenze geografiche con i territori di cui si tratterà; Erodoto di Alicarnasso (484 – 425 a.C.), che nelle sue Storie fornisce svariati ed utili indizi; Apollodoro (non è certo che se si tratti dell’ Apollodoro nato ad Atene nell’anno 180 a.C. o dello Pseudo Apollodoro, vissuto nel I° secolo a.C.), con la sua descrizione delle Fatiche d’Ercole.
Le ulteriori fonti da cui sono state attinti gli altri elementi utili alla ricerca, sono ugualmente menzionate nel seguito della relazione.
Gli indizi
A parte il dover considerare che la collocazione di Tartesso sulla Costa Atlantica della Spagna e più specificatamente in prossimità della foce del Guadalquivir non è suffragata da alcuna prova credibile, migliore considerazione merita l’affermazione secondo la quale esisterebbe una presunta identità tra Atlantide e Tartesso, entrambe caratterizzate, in modo particolare, dall’abbondanza di metalli, dal clima mite e dal fatto di essere ubicate al di là delle Colonne d’Ercole.
Il primo re mitologico di Tartesso era stato Gerione[2].
Apollodoro così racconta della venuta di Ercole in occidente, per conquistare i buoi rossi dello stesso Gerione:
Come decima fatica gli fu ordinato di catturare la mandria di Gerione ad Erizia[3]. Erizia è un’ isola bagnata dall’oceano; è adesso chiamata Gadira. Quest’isola era abitata da Gerione, figlio di Crisaore e figlio di Calliroe, a sua volta figlia dell’Oceano….così viaggiando attraverso l’Europa per conquistare la mandria di Gerione abbattè molte bestie selvatiche e mise piede in Libia e, procedendo verso Tartessus, eresse come limiti del suo viaggio due colonne ad indicare ad ognuno i confini dell’Europa e della Libia.
Ma essendo troppo scaldato dal Sole nel suo viaggio, tese il suo arco contro al dio che in ammirazione del suo coraggio, gli diede un calice d’oro nel quale lui attraversò l’oceano. Arrivato a Erythia (Gadira) alloggiò su Monte Abas [4]. Comunque il cane, sentendo la sua presenza, gli si gettò contro; ma lui lo abbattè con la sua clava, e quando il mandriano Euritio venne in aiuto del cane, Eracle uccise anche lui…. e veleggiando attraverso Tartesso restituì il calice al sole….
Nel Crizia di Platone, il vecchio Crizia racconta che Poseidone dopo aver diviso in dieci parti l’isola di Atlantide, al figlio nato per primo dei due più vecchi (gemelli) assegnò il lotto circostante che era il più esteso ed il migliore e lo fece re degli altri….il fratello gemello nato dopo di lui, che aveva ricevuto in sorte l’estremità dell’isola verso le colonne di Eracle, di fronte alla regione oggi chiamata Gadirica dal nome di quella località, in greco era Eumelo, mentre nella lingua del luogo Gadiro, il nome che avrebbe appunto fornito la denominazione di questa regione.
Raffrontando i due passi di Apollodoro e di Platone si deduce in primo luogo che Tartesso era ubicata nella regione gadirica e che questa regione faceva altresì parte dell’isola di Atlantide.
Tutto ciò a sostegno di quanto asserito in premessa dagli studiosi tedeschi, secondo i quali trovando Tartesso si sarebbe trovata Atlantide.
Considerato che tutte le leggende hanno sempre un fondo o una percentuale di verità o quanto meno forniscono indizi utili alla ricerca della verità, è opportuno ricapitolare alcuni avvenimenti che riguardano questi luoghi mitici, per poter quindi proseguire con le successive considerazioni.
Ipotizziamo allora che le Colonne d’Eracle fossero posizionate ai lati del Canale di Sicilia e non in corrispondenza dello stretto di Gibilterra.
Ipotesi assolutamente realistica e rafforzata dai pareri di diversi, eminenti studiosi e sopratutto da quello del padre dell’archeologia sarda, Giovanni Lilliu il quale, in riferimento alle tesi del giornalista Sergio Frau riportate nel suo libro le Colonne d’Ercole, così dichiarava (Nuova Sardegna del 2 Novembre 2002) : Io sono d’accordo, nella parte archeologica, col giornalista Sergio Frau, nel collocare le colonne tra Capo Bon e Lilibeo o, se posso dirlo, tra la collina di Byrsa a Cartagine e l’isola di Mozia in Sicilia, avamposti strategici del mondo punico alla frontiera col mondo dei greci.
In realtà, gli unici motivi che inducevano a ricercare Tartesso in Spagna, si fondavano sulla sua ipotetica collocazione oltre le Colonne d’Ercole di Gibilterra, in prossimità di Cadice, nella presunzione che con il termine Gadirico si fosse voluto indicare il territorio circostante questa città, un tempo chiamata Gades (tuttavia Gades, che in lingua araba significa fortezza, era ed è un nome piuttosto comune che si ritrova frequentemente lungo le coste del Mediterraneo occidentale).
Su Wikipedia si legge inoltre che il Tartessico, sorprendentemente, non risulta imparentato con il basco, con l’Iberico e con il Lusitano (quest’ultimo sicuramente Indoeuropeo), che sono le altre famiglie linguistiche della Iberia precedenti all’arrivo dei Celti……Il Tartessico in effetti mostra qualche somiglianza con le lingue indoeuropee anatoliche (quali l’Ittita e il Luvio), come anche l’ Etrusco e questo rafforzerebbe la tesi, a suo tempo proposta, che i fondatori della città fossero i cosiddetti Teres dei Popoli del mare”.
A questo punto, il sospetto che Tartesso non avesse niente a che vedere con la Cadice andalusa comincia a farsi prepotentemente strada e non “sorprende” affatto che il tartessico non fosse imparentato con il Basco, con l’Iberico e con il Lusitano e che invece somigliasse alle lingue anatoliche ed a quella degli etruschi in modo particolare.
La civiltà etrusca e più in generale quella delle antiche popolazioni anatoliche era stata difatti legata, per lungo tempo, alla storia delle marinerie Shardana e più in generale a quella delle popolazioni nuragiche.
A tale proposito si ipotizza che, terminata la guerra di Troia (1184 a.C. –Iliade di Omero nella traduzione di Vincenzo Monti) i Shardana, che a quel sanguinoso ed interminabile conflitto avevano partecipato probabilmente come mercenari, fossero rientrati in Sardegna portando con se parte delle genti a fianco delle quali avevano combattuto [5].
La flotta, salpata dalle coste della Lidia, regione anatolica compresa nel più ampio territorio di Arzawa, comprendeva probabilmente, oltre ai Shardana (di probabile origine lidia), i Troiani (Teucri, Tjeker, Dardani, Iliensi), i Likku (Lici), i Teres (Tyrsenoi, Tirrenici, costruttori di torri, Tursha) ed altri reduci appartenenti a diverse etnie, che insieme avrebbero costituito il nucleo più rilevante dei così detti Popoli del Mare.
Si dirà in seguito dove si ritiene possa essere sbarcata questa flotta multietnica; ma è importante osservare che, almeno da allora, si assiste all’avvio di uno stretto rapporto di amicizia e di collaborazione tra le popolazioni originarie della Sardegna, esperte nell’arte della lavorazione dei metalli ed i Teres/Etruschi in modo particolare, a loro volta esperti nella “costruzione di torri”[6].
Un rapporto che durerà per diversi secoli, sino a quando gli Etruschi si stabiliranno definitivamente sulla costa occidentale della penisola italiana, pur mantenendo solidi e costanti legami commerciali con i loro cugini isolani [7].
In riferimento alle vicende degli etruschi il prof. Massimo Pittau, glottologo, docente in linguistica sarda e scrittore, riferisce a sua volta che secondo Erodoto i Teres, originari della Lidia, a seguito di una carestia giunsero sino presso gli Umbri, dove fondarono città e dove abitano tuttora. Essi cambiarono il nome di Lidi prendendo il nome del figlio del re che li aveva guidati e si chiamarono Tirreni (e successivamente Etruschi). Il nome del re era Tyrrhenòs ed aveva per moglie Sarda (Sardò), da cui, secondo l’archeologo Giovanni Ugas, sarebbe derivato il nome dell’isola (Giovanni Ugas – L’Alba dei Nuraghi -).
Nel frattempo continuavano gli scambi commerciali tra la Sardegna ed i territori lidici e, intorno all’anno 1000 a.c., sempre in Lidia, verrà fondata la città di Sardi.
Ma ciò che maggiormente rileva è il fatto che i primi capi Etruschi, chiamati lucumoni, fossero stati proprio i sardi.
Lo attestano, a parte Erodoto (cfr. nota 7 ), anche Strabone, il quale affermava che i loro Lucumoni sono designati fra i Dignitari Sardi e Festo, che a sua volta scriveva: reges soliti sunt esse etruscorum, qui sardi appellantur, cioè i re degli Etruschi sogliono essere coloro che vengono chiamati Sardi .
Il nome del re dei Teres, Tyrrhenòs, presenta a sua volta un’evidente assonanza con quello del fiume Tyrso, che secondo un’interessante teoria formulata dal prof. Luigi Battisti, significa acque degli Etruschi, a riprova della stretta connessione esistente tra gli Etruschi e le antiche popolazioni della Sardegna [8].
In un altro passo del Timeo di Platone, un vecchio sacerdote della città egiziana di Sais, descrivendo a Solone l’isola di Atlantide, posta al di là dello stretto, nel mezzo di un mare circondato da un vero continente, racconta che in quell’isola di Atlantide si era formata una grande e straordinaria monarchia, che dominava tutta l’isola e anche molte altre isole e regioni del continente; inoltre governava, da questa parte dello stretto, la Libia fino all’Egitto, e l’Europa fino alla Tirrenia. Questa potenza dunque, concentrate tutte le sue forze, si accinse un tempo ad asservire d’un sol colpo la vostra (Atene) e la nostra terra (Egitto) e tutta la regione al di qua dello stretto .
Anche nel Crizia Platone ribadisce che Atlante, i suoi fratelli e i loro discendenti, abitarono l’isola per molte generazioni, esercitando il comando su molte altre isole di quel mare ed inoltre, come si disse anche prima, governando regioni al di qua, sino all’Egitto e alla Tirrenia.
Ma se la Tirrenia era governata sia dai Sardi (cfr. Erodoto, Strabone, Festo) che dagli Atlantidei (cfr. Platone), ciò avvalora l’ipotesi dell’identità tra Sardegna ed Atlantide, peraltro confermata da altri, importanti indizi.
Tra gli alleati dei Troiani, a parte i Shardana e gli Etruschi, si annoverava anche la popolazione dei Bebrykes, il cui re si chiamava Mandrone. Popolazione dedita alla pastorizia la cui presenza è attestata da Avieno nell’Ora marittima. La convinzione che i viaggi di Avieno si fossero svolti oltre lo stretto di Gibilterra, ha fatto sì che, ancora una volta, si siano ricercate le memorie di questo popolo pastorale nell’attuale Spagna, in prossimità della solita Cadice, nonostante questa città non abbia mai avuto nella sua storia un ricordo particolarmente importante di un tale allevamento (Diego Silvio Novo per Edicolaweb).
Luca Antonelli (dipartimento di scienze dell’antichità dell’Università di Padova), scrive al proposito (Da Tarsis a Tartesso – internet-) che Avieno attesta la presenza di una popolazione locale dal significativo nome di Berybraces (Ora 485 : Berybraces illic, gens agrestis et ferox / pecorum frequentis inter errabant greges ), poco oltre il fiume Tyrius.
Fiume inspiegabilmente e fantasiosamente identificato, dallo stesso Antonelli, con il Guadalaviar.
Sempre Antonelli, traducendo dal greco un altro passo del periplo attribuito a Pseudo Scimno, scrive che sulla costa iberica abiterebbero i Libifenìci e, nell’entroterra, i Bebrici.
Tuttavia nel testo in lingua greca non è scritto sulla costa iberica, bensì presso il mare sardo (sardon pelagos). Probabilmente la convinzione del professor Antonelli che la città o il territorio di Tartesso fossero situati presso Cadice, lo ha indotto a ritenere che i territori che si affacciavano sul mare sardo non potessero che essere quelli dell’Iberia (a parte dover rilevare la presenza in Sardegna della popolazione dei Balari che il prof. Giovanni Ugas, nel suo libro l’Alba dei Nuraghi, afferma essere di matrice iberica).
E’ al contrario verosimile che la terra in cui dimoravano i Bebrici fosse invece la Sardegna, dove esisteva ed ancora esiste una consolidata tradizione pastorale, a proposito della quale non è superfluo osservare come il nome del fratello di Atlante, Eumelo, in lingua greca significasse moltitudine di pecore.
Come è altrettanto verosimile l’esistenza di una precedente e solida amicizia tra i Bebrykes e le popolazioni provenienti dalla Lidia, peraltro attestata dallo stesso Antonelli quando scrive che il re Mandrone accolse i Focei e concesse loro la terra su cui fondare Lampsaco.
I Focei dimoravano presso l’attuale Smirne, città situata in Lidia, a sud di Troia, territorio da cui provenivano anche gli Etruschi (e i Shardana – cfr. nota 5 ).
La similitudine tra la parola Bebrykes, che indicava la popolazione pastorale della quale riferisce l’Antonelli e la parola brebei o berbeche, che in sardo significa pecora, è assolutamente palese; ed anche mandrone è, nella lingua sarda, un vocabolo con cui impropriamente si indica una persona pigra, forse perché riferito allo stereotipo del pastore che custodisce le greggi sonnecchiando all’ombra di un albero, ma che ha anche il significato di mandriano.
Su Wikipedia si legge ancora che Argantonio (VII – VI secolo), primo re di Tartesso di cui si ha evidenza storica, favorì il commercio con i greci, in particolare con la città di Focea che, durante il suo regno, istituì proprie colonie costiere nei pressi di Tartesso. I rapporti con Focea, secondo quanto riferisce Erodoto, furono particolarmente amichevoli tanto che, di fronte alle pressioni dei Medi, il re tentò di convincerli ad abbandonare la Ionia, invitandoli ad insediarsi nei dintorni, in qualsiasi luogo scegliessero. Vista però l’inutilità dei suoi sforzi, si decise a remunerarli con generose donazioni in denaro[9] , destinate rinforzare le mura di Focea e far fronte alle minacce esterne.
Focea, come accennato, era una città della Lidia, regione dalla quale partirono i reduci della guerra di Troia che fondarono, presumibilmente in Sardegna, la colonia di Tartesso, un re della quale sarebbe stato appunto Argantonio.
Si spiega allora perché quest’ultimo desiderasse che i suoi conterranei focesi si insediassero in Sardegna, abbandonando la Ionia [10].
Tanto premesso, se come è logico sospettare, i viaggi di Avieno non si erano svolti al di là delle Colonne d’Ercole di Gibilterra, ma oltre quelle più appropriatamente collocate sulle sponde del Canale di Sicilia, allora tutti i pezzi del rompicapo trovano la loro giusta e logica collocazione e la storia può finalmente seguire un nesso logico, che si tenterà qui di seguito di sintetizzare.
Le vicende
Terminata la guerra di Troia, un gruppo misto di reduci, con in testa i Shardana e composto in particolare da Tjeker, Teres, Bebrykes, e Likku (o Lukka secondo lo storico Lawrence Sudbury) abbandona quei luoghi insicuri per rientrare in Sardegna .
Una prima tappa è l’isola di Delo, a sud del Peloponneso, dove esisteva un quartiere denominato Skardana (tuttora segnalato sulle mappe turistiche), mentre una seconda sosta, prima di affrontare il tragitto nel Mediterraneo occidentale, il Grande Verde degli antichi egizi, viene probabilmente effettuata nel porto di Gadir, sulla costa orientale dell’isola di Pantelleria, a sua volta situata nel bel mezzo del Canale di Sicilia.
E’ altrettanto probabile che, prima di arrivare a Pantelleria, la flotta avesse effettuato un’incursione in Egitto, terra che, come già accennato, era legata alla Sardegna da stretti ed alterni rapporti, risalenti addirittura a qualche millennio addietro.
Tale ipotesi trova conferma in un rilievo di Medinet Habu, dove sono effigiati due prigionieri di Ramesse III (1197–1165 a.C.), denominati rispettivamente, in carattere geroglifico, Tjekary (Tjeker) e Shardana (da Hilary Wilson – I segreti dei geroglifici).
A Gadir, scrive su Internet Marco Chioffi (professore, scrittore e specializzato in archeologia sottomarina ) molti vascelli lasciarono cospicue tracce del loro naufragio e per un lungo periodo della storia di Pantelleria quel luogo (Gadir), grazie alle sue caratteristiche naturali, fu la principale zona di ancoraggi [11]
Quindi Gadir non era un sito qualsiasi, ma una tappa pressoché obbligata per i naviganti che si apprestavano a transitare dal Mediterraneo occidentale a quello orientale o viceversa.
E’ altrettanto probabile che Gadiro, fratello gemello di Atlante, si chiamasse così non perché il territorio su cui regnava era di fronte a Cadice, ma perché era rivolto verso la Gadir di Pantelleria !
Con altrettanta probabilità, le sue terre iniziavano dal tratto della costa di Villasimius prospiciente l’isola di Pantelleria e si estendevano, per quanto si dirà in seguito, ai territori della Sardegna sud orientale e centro orientale.
Seguendo le correnti ed i venti del sud, la flotta giunge sino alle coste del Sarrabus e più precisamente nei pressi di Muravera, punto di presumibile sbarco, dove tutt’ora esiste una rada chiamata Portu de S’Illixi (porto dell’iliense), situata appena a settentrione di Capo Ferrato e riparata dai venti provenienti dai quadranti meridionali.
Qui, in onore del re dei Troiani Priamo, viene eretta una stele sul luogo dove oggi sorge un santuario che porta ancora il nome dello stesso re (S.Priamo, frazione di S.Vito )[12]
Da lì iniziavano le vie dell’argento, così chiamate perché le miniere di cui erano ricchi tutti i territori della Sardegna (argyrophles nesos, l’isola dalle vene d’argento) ed in particolare quelli del versante sud orientale e
centrale, abbondavano di questo metallo [13].
I nuovi arrivati si trovano proprio nelle terre di Eumelo/Gadiro, fratello di Atlante e vengono accolti come fratelli, perché amici e compagni dei Shardana, con cui avevano combattuto durante l’interminabile guerra di Troia e che ora tornano nella loro terra.
Da lì alcuni gruppi risalgono la costa e probabilmente fondano Tertenia, in corrispondenza dell’attuale Marina di Sàrrala (solo molti secoli più tardi il paese verrà trasferito più all’interno, dove è attualmente dislocato) per dirigersi quindi a Tortolì (Portus Ilii) ed a Posada (l’antica Feronia civitas ) mentre altri, seguendo il corso del Flumendosa (Saeprus flumen), giungono sino alle sue sorgenti, sui monti del Gennargentu (la porta d’argento). La presenza dei Troiani (Teucri, Dardani, Iliensi) è un fatto oramai storicamente appurato e riportato in diversi toponimi locali (Punta Liana = Punta Iliana; Tortolì = Portus Ilii; Isili = Is Ilienses; Pranu Illixi; Illorai; Ollolai; il nuraghe Giuilèa e il nuraghe Gilia; Cala Luna = Cala Ilùne o Cala degli Iliensi etc.).
Il rapporto tra Dardani, Tartesso ed il territorio di sbarco della flotta proveniente dalla Lidia, è confermato dalle considerazioni espresse da diversi autori. In particolare l’etruscologo Angelo di Mario afferma, su Internet, che dal nome di Taruissa – Troia, e di altre città derivate dalla stessa radice ( tra cui Tartesso), deriveranno i nomi dei Tirreni / Tirseni e Dardani.
A sua volta Francesco Murroni (ingegnere minerario e studioso della storia sarda e dei suoi rapporti con le civiltà orientali), nel suo libro La Sardegna Preistorica ed il Mediterraneo Antico, riporta un passo tratto da una pubblicazione di Massimo Pittau, in cui è scritto che Tertenia deriverebbe da Trtny, un’altra forma ricorrente nelle iscrizioni egizie per indicare Drdny, cioé Dardani, Troiani o Teucri; i superstiti di Troia che arrivarono in Sardegna…… ed eressero una stele a S.Priamo (Santu Pirimu o Pilimu) di Muravera, per onorare il loro re Priamo.
Da quanto sopra si potrebbe ipotizzare che sia da Drdny (Dardani) che da Trts (Tartesso), derivi Trtny (Tertenia).
Ed è verosimile che Tertenia si potesse identificare con la città di Tartesso anche se, con analoga probabilità, con il nome di Tartesso si indicava invece l’intero territorio alle spalle di Tertenia, caratterizzato dalla ricchezza dei minerali di rame e d’argento e probabile emporio dei metalli su cui confluiva anche lo stagno proveniente dal nord Europa e dalle isole Cassiteriti, in Britannia (a proposito della contestata presenza dello stagno in Sardegna, il dottor Luciano Ottelli, direttore del Consorzio del parco Geo Minerario, afferma che nel periodo dei Fenici, nel Sarrabus si estraeva anche lo stagno) ( Internet ).
Nel suo libro Atlantide in Sardegna, Paolo Valente Poddighe richiama inoltre un brano tratto dall’Atlante Storico e Culturale della Bibbia , dove il prof. J.De Fraine scrive alla fine del X secolo vi erano colonie di Tiro stabilite a Cipro, in Spagna, nell’Africa del Nord, in Sicilia e in Sardegna. In quest’isola i fenici sfruttavano le miniere di rame e il metallo era poi trattato in raffinerie chiamate Tarshis.
Ma c’è un’altra autorevole testimonianza, a conferma della collocazione di Tartesso sulle coste orientali della Sardegna.
Nelle sue Metamorfosi Ovidio, narrando la triste storia della ninfa Canente (il cui amato sposo era stato trasformato in picchio dalla maga Circe), così scriveva: Sulle spiagge di Tartesso si spegneva il tramonto del sole e invano gli occhi e il cuore di Canente avevano atteso il ritorno dello sposo. Servitori e popolo al lume delle torce perlustrano in ogni luogo tutte le selve. E la ninfa non si accontenta di piangere, di strapparsi i capelli, di percuotersi il petto; fa, sì, tutto questo, ma poi corre fuori e vaga impazzita per le campagne del Lazio. Per sei notti e per sei giorni, quando tornava a splendere il sole, fu vista vagare senza dormire e senza cibarsi per monti e valli, dove la guidava il caso. L’ultimo a vederla fu il Tevere….
E’ del tutto intuitivo che, rispetto al Lazio ed al corso del Tevere in particolare, le prime spiagge ad occidente, dove tramonta il sole, non potevano che essere quelle della Corsica o della Sardegna e non certo quelle situate sulla costa Atlantica della Spagna in prossimità di Cadice.
E ragionevolmente Ovidio, nominando Tartesso, non si riferiva neanche all’antica cittadina di Nora, situata a sud ovest del Golfo di Cagliari, dove tempo fa fu rinvenuta una stele con impressi, in caratteri fenici, i nomi Shrdn e Trtsh (Sardegna e Tartesso).
A questo punto è certo che i nuovi arrivati avevano potuto constatare di persona che la terra che li ospitava (dalle coste comprese tra il Sarrabus e Posada-Feronia e sino alle aree interne del Gennargentu), non solo era ricca di acque ed offriva prodotti naturali in abbondanza, ma soprattutto disponeva di minerali svariati ed in grande quantità[14].
E così, risalendo il corso del Flumendosa (in corrispondenza della cui foce è stato rinvenuto un porto denominato Sarcapos, dal possibile significato di fiume della barca o porto fluviale), giungono nei luoghi montani dell’attuale Barbagia, colmi di minerali, ma anche orograficamente ben disposti per poter controllare i territori circostanti e difendersi adeguatamente dagli attacchi degli eventuali nemici.
L’enorme concentrazione in loco di insediamenti nuragici[15], lascia oltre tutto supporre una notevole densità abitativa di questi siti, dove probabilmente era anche ubicata la reggia del re Gadiro, fratello gemello di Atlante.
Le nostre attenzioni si sono al proposito incentrate su due paesi: Gairo e Gadoni, accomunati dalla radice gad di Gad – iro.
E’ singolare osservare come questi paesi siano situati sullo stesso parallelo che comprende Tortolì, Arzana [16] (che presenta un’evidente assonanza con la regione di Arzawa, in Anatolia, da dove partirono i nostri reduci dalla guerra di Troia), il monte Perda Liana o Perda Iliana , il compendio geo minerario del Gennargentu, le pendici settentrionali del monte Arci (da cui si estraeva l’ossidiana) ed infine, sulla costa centro occidentale, la foce del fiume Tirso (che scorre a nord ovest dello stesso Gennargentu), in prossimità della città di Tharros.
Per altro verso, secondo il prof. Marcello Pili (docente presso l’Università La Sapienza di Roma), il termine sardo cadira (Wikipedia), comunemente utilizzato per indicare la sedia, significherebbe sedia di Gadiro o trono di Gadiro.
Si può allora ipotizzare che la regione comprendente Gairo e Gadoni, fosse un tempo denominata Gadirica in quanto ospitava la reggia (il trono) del re Gadiro, il quale, è opportuno ricordarlo, portava probabilmente questo nome perché il suo territorio era prospiciente il porto di Gadir a Pantelleria, isola a sua volta posizionata nel bel mezzo del canale di Sicilia, tra le Colonne d’Ercole.
Presso Gadoni esiste, tra l’altro, un valico denominato Ortuabis (l’orto di Abis) che curiosamente ha lo stesso nome di un’altro re di Tartesso, Habis, mitologico scopritore dell’agricoltura, nipote di Gargoris, a sua volta scopritore dell’apicultura e re dei Cureti (Trogo-Giustino). In Sardegna gli allevamenti di api si chiamavano ortus de is abis e tuttora a S.Sofia, in prossimità di Ortuabis, è presente un importante centro di apicoltura.
I Cureti erano invece dediti alla metallurgia, venivano raffigurati con scudo e lancia di bronzo, abitavano sui monti ed erano soliti effettuare una sorta di ballo tondo percuotendo il suolo con i piedi [17].
A parte i Cureti ed il loro ballo, che a noi pare piuttosto familiare, per tornare al re di Tartesso Argantonio, non si conosce l’esatta ubicazione della sua reggia, ma certamente il luogo era molto vicino a Gadoni.
A tal proposito, se si riprendono le considerazioni espresse da Luca Antonelli secondo cui i Berbekes ed il loro re Mandrone occupavano una regione (Andalusia?) oltre il fiume Tyrus (Guadalaviar?) e si trasferiscono sul territorio del Gennargentu, non ci si può esimere dall’osservare che lo stesso territorio porta il nome di Barbagia, che vi dimoravano ed ancora vi dimorano le popolazioni pastorali dei Barbaricini, che le pecore vengono chiamate in lingua sarda brebeis o berbekes, che Mandrone ha in Sardegna, come già osservato, il significato di mandriano e che alle spalle del Gennargentu (la porta d’argento) scorre il fiume Tirso.
Dal canto suo la professoressa Benedetta Rossignoli, docente di latino e greco e dottore in storia antica, nel suo libro “L’Adriatico greco, culti e miti minori ”, scrive che Avieno (Ora Maritima 284), ispirandosi ad una fonte massaliota, ricorda un “Ligustinus Lacus” presso il fiume Tartesso. Stefano Bizantino attesta l’esistenza di un “ Ligustine, polis ligùon” nei pressi di Tartesso, con tutta probabilità da porre in relazione del “Ligustinus Lacus” avianeo. La notazione di “Ligustine” come “polis ligùon” non lascia dubbi che la fonte di Stefano, forse Ecatèo, intendesse riferirsi al ricordo dei Liguri in area tartessica.
In merito a quanto affermato dalla Rossignoli, in una riproduzione cartografica della Sardegna del Castaldi (1548) è indicata la popolazione dei Luci, insediata nel territorio compreso tra il Tirso ed il Flumendosa ed in un’altra mappa del Coronelli, datata 1734, è indicato un Portus Liquidonensis ed un Lago Liasto ubicati a sud di Tortolì (costa centro orientale della Sardegna), in un territorio abitato dai Lucui Luquidonenses .
In epoca romana (o in precedenza), è inoltre attestata la presenza di un Portus Liquidonis o Luguidonis in prossimità di Posada (Wikipedia).
Nella “Carta di Tolomeo” denominata “Septima Europe Tabula” (incisione in rame del XV secolo conservata presso l’Accademia dei Lincei e Corsiniana di Roma), è evidenziato un sito indicato come Luquidonesi, nei pressi di Orosei (più a Nord di Tortolì), prospiciente il Mare Ligusticum.
Un’altra incisione in rame di Francesco Berlinghieri, sempre del XV secolo, riporta un sito Luquidonensii a sud della Feronia civitas ( Posada).
Infine, in un’incisione in rame di Filippo Cluver (XVII secolo) è riportato sia un Liquidonensium portus che un centro abitato denominato Luquido (Luigi Piloni- Le carte geografiche della Sardegna).
Tutti indizi che consentono di confermare la presenza dei Liguri (Likku/ Lukka/ Lici / Lidii) in questo territorio ma soprattutto convalidano l’ipotesi della presenza dei liguri in area tartessica, riportata nel libro della professoressa Rossignoli [18]
Ma un altro, fondamentale indizio, è fornito da Luca Antonelli quando scrive che Argantonio, primo re di Tartesso, porta il nome della montagna che Apollonio Rodio ed Euforione collocano alle spalle di Kios, dove vivevano i Bebrici [19]
Scrive inoltre (non dimentichiamo che l’Antonelli è sostenitore della Tartesso iberica) che, secondo Avieno nella regione tartessica esisteva un Argentarius mons e che la tradizione focea applicava probabilmente a un rilievo dell’area Andalusa e per estensione al re della regione, un oronimo ( il nome di un monte) conosciuto sulle coste della Pontide ed in qualche modo legato all’estrazione dell’argento ed infine che dal monte dell’argento scenderebbe il fiume Tartesso.
Considerazioni che impressionano, perché alle spalle di Gadoni esiste un rilievo denominato “monte Arzanadolu” (Argantonio!), in prossimità del quale si trovano le sorgenti del Flumendosa; fiume che scendendo dal monte dell’argento (Gennargentu) sfocia nei pressi di S.Priamo, luogo di probabile sbarco dei nostri reduci.
Se ora si riprende il racconto di Pseudo Scimno (Luca Antonelli – da Tarsis a Tartesso -), dopo la frase precedentemente riportata sulla costa iberica abiterebbero i Libifenìci, la cui esatta traduzione risulta essere invece presso il mare sardo (sardonion pelagos) abiterebbero i libifenici,…., si legge ancora, che sempre presso il mare sardo abiterebbero….i coloni cartaginesi, i Tartessi e quindi gli iberi; i bebrici sarebbero stanziati nelle regioni dell’entroterra, sulla costa si incontrerebbero poi i Liguri e le città fondate dai Focei di Massalia…. Premesso che i Libi / Libu [20] sono sempre stati i tradizionali compagni di avventura dei Shardana, quantomeno dai tempi del faraone Akhenaton (1356/1339 a.C.) e la loro presenza in Sardegna era un fatto usuale come quella, evidentemente scontata per ragioni storiche, dei fenici e dei cartaginesi, ciò che appare straordinario è che trasferendo il racconto di Pseudo Scimno in Sardegna e seguendo il suo periplo, a partire dal sud si incontrerebbero, dopo Libi, Cartaginesi e Fenici: i Tartessi stanziati nei territori precedentemente descritti; gli Iberi / Balari a nord del fiume Tirso; i Bebrici / Barbaricini nelle regioni dell’entroterra (Barbagia); ed infine i Liguri / Likku sulla costa orientale dal Lago Liasto e dal Portus Liquidonensis di Tortolì sino al porto Liquidonensi di Posada.
Per quanto inoltre si riferisce agli insediamenti focei, è sufficiente richiamare quanto precedentemente riferito in merito ad Argantonio, primo re di Tartesso, che favorì il commercio con i greci, in particolare con la città di Focea che, durante il suo regno, istituì proprie colonie costiere nei pressi di Tartesso (Wikipedia).
Una di queste colonie, ubicate sulla costa orientale della Corsica, era Alalia, l’attuale Aleria.
E’ infine rilevante osservare come lo stesso Pseudo Scimno affermi che l’emporio di Tartesso è posto a due giorni di navigazione da Gadir (Mario Cabriolu su Sardolog – internet -).
Affermazione che ovviamente escluderebbe Cadice/Gadir, considerato che i fautori della tesi iberica sostengono la contiguità o addirittura la coincidenza di questa città con Tartesso, ma si adatterebbe perfettamente ad una Tartesso sarda, distante circa due giorni di navigazione dalla Gadir di Pantelleria.
A questo proposito, si rileva come nella Bibbia siano tra l’altro richiamati i rapporti intrattenuti tra i fenici di Tiro e Tartesso “Tarsis commerciava con te (Tiro), per le tue ricchezze d’ogni specie, scambiando le tue merci con argento, ferro, stagno e piombo…omissis…. Le navi di Tarsis viaggiavano, portando le tue mercanzie. Così divenisti ricca e gloriosa in mezzo ai mari” (Ezechiele).
Ma se i Fenici avevano colonizzato la Sardegna (“colonizzato” è tuttavia un termine improprio, considerato che i Fenici erano probabilmente degli “emigranti di ritorno” e non dei colonizzatori), instaurando uno stretto e lungo rapporto commerciale con la nostra isola, che senso avrebbe avuto affrontare un viaggio di 1500 km, navigando per 20 giorni lungo le insidiose ed inospitali coste africane battute dal vento di maestrale, per cercare quei metalli che avevano invece a portata di mano in una terra “amica” come era appunto la Sardegna, ricchissima d’argento, di rame e di piombo, ma anche di stagno (lungo il Flumendosa) e di ferro (Montiferru).
Una terra che peraltro distava dal Canale di Sicilia poco più di 200 km che, come detto, si sarebbero potuti agevolmente percorrere in soli due giorni di navigazione.
Lascio le conclusioni a chi avrà avuto la pazienza di leggere.
Nelle foto: L’invaso del Flumendosa presso Orroli; Un tasso del Gennargentu; Il nuraghe Serbissi a Osini
[1] Henning, Herman, Jessen e Schulten
[2] In un’altra parte dell’Iberia, anch’essa costituita da isole, c’era un regno, possesso di Gerione. In quella regione i pascoli erano talmente lussureggianti che, se la pastura non fosse stata interrotta da momenti di digiuno, il bestiame sarebbe ingrassato da morire….( Luca Antonelli – I Greci oltre Gibilterra – traduzione di un brano di Trogo-Giustino). Il prof. Antonelli traduce la frase et quae ex insulis constat con anch’essa costituita da isole, ma la traduzione più corretta potrebbe essere invece quella proposta dalla prof.ssa Fulvia Ruju: nell’altra parte della Spagna, ed in particolare in quella che è formata da isole, anche perché l’Iberia non è un isola. Inoltre, sempre l’Antonelli traduce con: il bestiame sarebbe ingrassato da morire la frase pecora rumpantur, la cui traduzione letterale è invece: le pecore sarebbero scoppiate, con evidente riferimento agli ovini e non genericamente al bestiame. Circostanza rilevante se si considera, come si dirà in seguito, che nel territorio di Cadice non si registra un ricordo particolarmente importante di allevamenti ovini.
[3] Giovanni Arca (storico del 1500), nel suo Barbaricinorum libelli parla di un fiume perenne ed impetuoso chiamato Erretinio o Erretinium, che partendo dal territorio di Bitti sfociava nei pressi di Posada, uno dei paesi più antichi della Sardegna, in cui si dice fosse sbarcato il primo contingente di Shardana – popolo del mare – proveniente dalla Lidia (Wikipedia). E’ allora probabile che il nome di Erizia (o Erythia) derivasse dal nome di questo fiume o, al contrario che da Erizia fosse derivato il nome del fiume, anche se è nostro parere, come si riferirà in seguito, che il citato sbarco dei Shardana fosse invece avvenuto in prossimità del Capo Ferrato di Muravera.
Per altro verso la figlia di Gerione, primo re mitologico di Tartesso, aveva nome Erizia; per cui si presume che Gerione avesse chiamato l’isola ed anche il fiume che sfocia nei pressi di Posada con il nome della figlia.
Figlio di Erizia e di Hermes fu poi Norace, fondatore di Nora (n.d.a.).
[4] Potrebbe trattarsi di uno dei vari Monte Arbu compresi nei territori alle spalle della costa tra Villasimius e Muravera o del Monte Narba nei pressi dell’omonima miniera, a sud ovest dell’abitato di Muravera.
[5] Secondo una teoria espressa dall’etruscologo prof. Marco Corsini, il primo arrivo dei Shardana in Sardegna risale a questo periodo, mentre precedentemente nell’isola si erano già attestati i Tirreni, costruttori di torri: “Poi arrivano i Pelasgi/Shardana, dal Tirreno, e colonizzano la Sardegna e fanno decollare la civiltà etrusca in Etruria e Campania, accerchiando l’Ausonia/Lazio dal Tevere al Volturno, più stabilmente in mano dei Tirreni ….i Troiani/Tirreni che colonizzarono la regione sotto egida egizia (Amenofi III/Eracle dietro alla tradizione di Evandro ed Eracle) avvalendosi della collaborazione degli indigeni Sabini scesi dagli Appennini (gli Aborigeni di Dionisio), fondarono fortificazioni e attuarono la sottomissione di tutta l’area compresa tra i due fiumi Liri e Tevere, che hanno origine ai piedi degli Appennini ” (Dionisio I, 9, 2) (prof. Marco Corsini – Atlantide)
[6] Ultimamente è andata crescendo negli studiosi l’opinione che la prima tappa dove i Tirreni sostarono, prima di occupare il centro Italia, sia stata la Sardegna. Sono molti gli indizi a sostegno di tale tesi. Non solo, ma già in età antica era diffusa la notizia che sia i Sardi che gli Etruschi erano ambedue di ceppo “ tirrenico” (prof. Giovanni Feo – internet).
[7] finché i Shardana detennero il monopolio del commercio del bronzo, i Tursha (gli Etruschi) ebbero un rapporto quasi di sudditanza, accettando persino il fatto che i loro re fossero scelti tra i dignitari sardi. In seguito, con la diffusione del ferro, gli equilibri cambiarono e le città sarde cominciarono un lento, ma inesorabile declino (Leonardo Melis – Shardana, i Popoli del Mare -). Sullo stesso libro, Leonardo Melis richiama Erodoto il quale asseriva che i Tirrenici abitarono in Lydia governati dagli Eraclidi, come venivano chiamati gli abitanti della Sardegna. Secondo i Lidi i Sardi discendevano dal dio sole.
[8] Luigi Battisti, nella sua Etimologia del nome Tibur scrive che la paroletta “ti” aveva il significato di “acqua” nella toponomastica dell’Europa pre-indoeuropea e dell’Asia minore, un esempio evidente è il nome del mare Tirreno. Ancora nel quinto secolo a.C., nel nome e nei suoi derivati gli autori greci usavano ancora la forma “tyrsen-” che mostra chiaramente che quella attuale è dovuta al rotacismo della s. Ora se si considera che gli etruschi chiamavano se stessi Rasenna, l’interpretazione del nome è chiaramente ti-rsen = acque degli Etruschi.
[9] Grandi quantità d’argento ( Paolo Bernardini – le torri, i metalli, il mare).
[10] Questi Focesi furono i primi dei Greci a darsi ai grandi viaggi e furono essi a scoprire il golfo Adriatico, la Tirrenia, l’Iberia e Tartesso. Non navigavano con battelli da carico, ma con navi a 50 remi. Giunti che furono a Tartesso, s’assicurarono l’amicizia del re dei Tartessi, di nome Argantonio… ( Erodoto – Storie I.163-). Dopo la morte di Argantonio gli stessi Focesi istituirono una loro colonia ad Alalia in Corsica (l’attuale Aleria).
[11] Sono da ricordare, perché anch’essi molto simili ai nuraghi sardi nella struttura e nella funzionalità, i Sesi di Pantelleria, l’antica Cossyra, la quale doveva costituire una tappa molto importante per il tragitto dei Sardi Nuragici verso l’Egitto, lungo quella che ho chiamato rotta africana (Massimo Pittau: La lingua di Sardi Nuragici e degli Etruschi)
[12] In prossimità di S.Vito esiste un monte denominato Monte Idda, che ricorda il monte Ida, situato in prossimità di Troia, dove Paride soleva condurre al pascolo i suoi armenti.
Un altro Monte Idda si erge invece appena a nord di Burcei ed i ruderi di un Nuraghe Idda sono presenti ad occidente del litorale di Monte Nai.
A sud di S.Priamo si erge infine il Monte Minniminni, circondato dall’omonima foresta.
Il suo nome, che presenta una notevole assonanza con quella dei Monti Menemnoni (insani montes), così come un tempo si chiamavano i rilievi montuosi compresi tra i territori di Macomer, Bitti ed Orune, ricorda quello di Memnone, il fratello del re Priamo ucciso in battaglia da Achille (n.d.a.)
[13] …. infine tocchiamo la Via dell’Argento…. un complesso di piste che si snodano e si riannodano proprio in queste gole, principalmente in quelle del rio Ollastu, del rio Brabaisu (Berbekes ? n.d.a.) e del rio Minderrì, colleganti le otto miniere argentifere di Bacu Arrodas, Giovanni Bonu, Monte Narba, Serra S’Ilixi, Tuviois, Masaloni, Nicola Secci, Pred’Arba. Sino ai primi del ‘900 dalla gola dell’Ollastu il minerale era trainato indifferentemente a monte o a valle con carri a buoi, risalendo poi dai due capolinea (Sangassua-Serra s’Ilixi nell’alto Ollastu, S’Arcilloni nel basso Ollastu), convergendo rapidamente con l’altra strada proveniente dall’importantissima miniera argentifera di Tuviois…….l’argento nativo è uno dei metalli preziosi più conosciuti. Molti popoli antichi gli riconoscevano un valore pari a quello dell’oro, talora maggiore…..oggi i più bei campioni d’argento nativo della “Formazione di San Vito” fan bella mostra nei più prestigiosi musei italiani ed europei ( brani tratti da linguasarda.com )
[14] Stesicoro, nella sua Gerioneide scriveva ..le acque di Tartesso ricolme d’argento (Paolo Bernardini – Le torri, i metalli, il mare). Con Tartesso si indicava anche il fiume che attraversava l’omonimo territorio (n.d.a.)
[15] I nuraghi isolani sono quasi tutti allineati quanto meno a gruppi di tre, fatto che lascia supporre l’esistenza di una sorta di pianificazione territoriale e/o di un articolato sistema di controllo dell’intero territorio regionale (da una ricerca dell’autore).
[16] Tra Arzana e Gadoni esistono tuttora diverse affinità, tra cui in particolare la lingua ed il costume tradizionale (internet);
In età storica le parti settentrionali e nord occidentale del paese di Arzawa saranno comprese nel regno di Lidia, che aveva il suo porto a Smirne/Izmir. Massimo Pittau e non solo, sostenitore dell’origine dei Sardi e degli Etruschi dalla Lidia, riporta diversi toponimi dell’Asia anteriore molto simili ai toponimi sardi (Massimo Pittau – Storia dei Sardi Nuragici) ……che ci siano legami tra Arzana in Sardegna e l’Asia Minore sembra non esserci alcun dubbio….la posizione di Arzana lascerebbe pensare ai Dardani (Francesco Murroni – La Sardegna preistorica e il Mediterraneo Antico).
[17] Cureti/Quiriti, lancieri shardana (Marco Corsini – Atlantide);
Cureti e Ciclopi, legati alla produzione di armi in bronzo (Luca Antonelli-da Tarsis a Tartesso);
Sono legati al bronzo e i loro strumenti sono di bronzo, rumorosi come il battere del bronzo mentre danzano girando attorno (Claudio Simeoni – Commento agli Inni Orfici).
[18] Potrebbe ipotizzarsi una corrispondenza tra il fiume Tartesso ed il corso dell’attuale rio Corongiu, che un tempo si immetteva nel lago Liasto e nel porto Liquidonensis di Tortolì o tra lo stesso fiume Tartesso e l’Erretinium rio Posada), che sfociava nel porto Liquidonensi di Posada; ma è più probabile che Avieno avesse voluto indicare con il nome di Tartesso il Flumendosa, fiume che scorreva a sud di questi territori dove dimoravano i Likku (Lici, Liguri), qui giunti dopo la guerra di Troia (n.d.a.)
[19] Alle spalle di Prusia, secondo Strabone, si innalza un monte di nome Argantonio, noto anche ad Apollonio Rodio ed Euforione (Luca Antonelli: Traffici focei di età arcaica).…gli eroi arrivarono alla terra Cianide, presso il monte Argantonio e le foci del fiume Cio….li accolsero i Misi (Argonautiche di Apollonio Rodio – primo libro)
[20] La tradizione riferita da Pausania nota che i primi stranieri passati nell’isola di Sardegna furono Libi condotti da un Sardus (che potrebbe benissimo essere il Sardus Pater delle medaglie sarde), che si fusero con gli indigeni (da www.velva.org/liguri)