“Chiesi al maestro del rame e dello stagno di farne uno con corpo di toro e la testa di uomo; pensai che gli avrebbe portato fortuna nella vita. Il corpo del toro per dargli la forza e la testa dell’uomo per donargli sapienza ed intelligenza.”
Zente, Zente” – Grido’ la prima vedetta che stava sulla torre. Ci mettemmo tutti a correre. Era il segnale di pericolo. Si doveva lasciare il villaggio fatto di capanne di legno e pietre, di fretta e furia, per rifugiarsi all’interno delle mura di cinta del nuraghe. Ogni capo famiglia, che poteva essere il padre o la madre o uno dei nonni, aveva il compito di portare con sè la propria famiglia, al riparo dalle potenziali insidie. Questa non era una regola esclusiva del villaggio di “Voes”, ma di tutti i villaggi nuragici.La vedetta continuava dall’alto della grande torre a comunicarci l’evolversi della situazione, mentre i guardiani e i soldati presero posto, pronti alla difesa, nell’eventualità di un attacco.
A riceverli c’era il capo guardiano, alcune guardie e mio padre, il capo del nostro villaggio. Il loro portavoce spiegò le ragione della visita. Urro, un ragazzino del loro villaggio, cadendo da un masso, si era provocato delle grosse ferite ad un braccio. Tutti sapevano che noi avevamo un bravo guaritore, Babbai Etzi, uomo sapiente e grande conoscitore di numerose erbe medicali con le quali creava degli intrugli “miracolosi”. Il corteo si diresse, accompagnato da mio padre, verso la torretta di Babai Etzi; lì lasciarono Urro e tornarono al loro villaggio. Urro fu preso in consegna da Babai Etzi, il quale inizio’ a creare pozioni che io chiamavo magiche. Andavo ogni giorno a controllare come stesse Urro. Egli aveva, piu’ o meno, la mia età, e la mia curiosità di ragazzina mi portava a sapere di piu’ di lui e del suo villaggio. Diventammo amici. Mi spiego’ che al villaggio di Lisèi si lavorava la lana, e riuscivano a creare dei meravigliosi tessuti; noi invece eravamo abili lavoratori del metallo. Ogni giorno che passava le condizioni di Urro miglioravano, le ferite, pian piano, sparirono e purtroppo giunse anche il giorno del suo rientro a casa, nel villaggio di Lisèi. Fui rattristata e felice nello stesso tempo. Felice per la sua guarigione, e triste perchè avrei perso un amico. La mattina di un giorno di primavera Urro lascio’ il nostro villaggio per fare rientro al suo.
Lo accompagnarono le nostre guardie e diversi guerrieri. Prima di andar via gli donai un bronzetto. Me lo feci fare apposta per lui. Chiesi al maestro del rame e dello stagno di farne uno con corpo di toro e la testa di uomo; pensai che gli avrebbe portato fortuna nella vita. Il corpo del toro per dargli la forza e la testa dell’uomo per donargli sapienza ed intelligenza. Ci salutammo con un abbraccio. Da quel giorno non lo vidi più, ma ricevetti da lui in regalo, tempo dopo, uno splendido vestito tessuto con dei rombi a colori sgargianti.
Testo: Piera Farina-Sechi
Foto: Bruno Sini / Piera Farina