di Nicola Manca “Tutta esta gente che piangendo canta per seguitar la gola oltre misura, in fame e ’n sete qui si rifà santa”. (Purg. XXIII, 64-66) Un vizio che Dante considera nato dalla stessa radice di amore per i beni terreni. Lo colloca nelle ultime cornici del Purgatorio, forse perché sono più vicine al paradiso che all’inferno. E dovendo trovare una collocazione terrena a queste cerchie, se la scelta ricadesse sulla Sardegna, nessuno avrebbe nulla da obiettare. Fin dal passato, infatti, ogni area dell’isola ha avuto una propria tradizione enogastronomica. L’attuale patrimonio, ricco di sapori e di profumi, è il risultato di una standardizzazione su scala macro-regionale di differenti culture che si sono costituite attorno al nucleo originale autoctono. Con il passare degli anni, alla tradizione agro-pastorale sarda (formaggi, carni, paste grosse) si sono affiancati gli ingredienti alloctoni relativi alla civiltà che hanno visitato e dominato l’isola, come i catalani o i pisani. Dalle pianure più fertili prossime al mare sino all’alta collina e alle zone più interne, il vigneto rappresenta una parte integrante del territorio dell’isola. Grazie alla peculiare conformazione orogenetica e territoriale, il settore vitivinicolo può vantare un patrimonio di eccezionale valore: 180 vitigni autoctoni e un elevato numero di certificazioni che rispondono all’esigenza di evidenziare le origini varietali e territoriali che conferiscono ai diversi vini apprezzabili peculiarità. Nello specifico, la differenziazione determinatasi nelle diverse aree ha reso possibile la costituzione di 15 Igt (fra i quali ricordiamo Isola dei Nuraghi, Ogliastra, Parteolla, Trexenta), 19 Doc (fra cui Cannonau di Sardegna, Carignano del Sulcis, Malvasia di Bosa, Monica di Sardegna, Vermentino di Sardegna), e 1 Docg (Vermentino di Gallura). Data la produzione limitata, difficilmente questi beni possono essere inseriti nella grande distribuzione; si tratta perlopiù di prodotti di nicchia che possono essere commercializzati a chilometro zero negli agriturismi e nelle reti specializzate di settore. Per quanto riguarda la cucina, tutti conosciamo l’indiscutibile valore dei nostri prodotti tipici con particolare attenzione per il capitolo formaggio! La Sardegna vanta, infatti, una tradizione casearia rinomata in tutto il mondo, nonché il primato nella produzione di formaggi da latte di pecora in Europa. Affianco ai vari pecorini DOP bisogna segnalare all’attento turista gastronomico, una sconfinata produzione di formaggi: freschi a pasta morbida, non stagionati, aromatizzati da muffe nobili, da spalmare. Insomma, per i golosi non c’è che da scegliere. Ma se è vero che il tempo della gola – come scrive Donizetti nei suoi dialoghi – è senza successione di fatti, è il fatto che succede dalla bocca al piloro, vi sarà pure un rovescio – positivo – della medaglia di questo vizio? Pare di sì. La valorizzazione e la sviluppo del patrimonio enogastronomico è un tema del quale la Fondazione Nurnet ha fatto un dogma. In quest’ottica la valorizzazione del patrimonio archeologico passa da quella del comparto enogastronomico e viceversa, in una relazione a doppia mandata di fondamentale importanza per il percorso di crescita che la Sardegna potrà avviare in armonia con le caratteristiche innate del proprio territorio. Il nuraghe rappresenta il quadro, la varietà di piante che vi cresce attorno una cornice meravigliosa che ne aumenta la luminosità e l’impatto dinnanzi allo sguardo del visitatore. Con una breve camminata e occhio vigile si possono scoprire la borraggine, l’aglio orsino, il tarassaco, gli asparagi selvatici, il finocchietto e tante altre piante spontanee che rappresentano un dono generoso di questa terra. Non sfruttare questo patrimonio significherebbe perdere un’opportunità importante, significherebbe perdere la spinta che il volano dell’archeologia potrebbe dare a questo comparto. Vi deve essere un impegno, ancora più incisivo rispetto al passato, verso la promozione e la valorizzazione dei prodotti di eccellenza del territorio che hanno tutti i requisiti per guadagnare i grandi mercati mondiali. Per fare quest’ulteriore salto di qualità dobbiamo risolvere alcune situazioni critiche che permangono nel territorio: la mancanza di efficienza dei consorzi, il necessario perfezionamento delle filiere produttive e di trasformazione dei prodotti, l’eccessiva burocrazia per l’ottenimento dei marchi di riconoscimento qualitativo, la scarsa penetrazione nei mercati e la mancanza di sinergie col comparto turistico. Proprio quest’ultimo punto è di essenziale importanza poiché il turista, e in particolare quello enogastronomico, deve imparare a conoscere il territorio anche attraverso i nostri prodotti di nicchia tipici e rappresentativi. Il turismo enogastronomico vale, secondo il Rapporto annuale del Censis Servizi, dai 3 ai 5 miliardi di euro di giro d’affari nel 2010, grazie a 4-5 milioni di eno-turisti. La Sardegna si deve candidare come meta per i turisti enogastromici italiani e internazionali, invitando gli ospiti a contribuire alla valorizzazione e alla conoscenza delle risorse che rendono unica e ineguagliabile l’isola Quindi se la gola rappresenta un vizio il peccato è quello di aver seguito l’esempio di Lazzaro, costretto a mangiare le briciole cadute dal tavolo del ricco epulone. Ma adesso i tempi sono cambiati!