di Redazione
Prime immagini e breve resoconto di ciò che pensiamo possa rappresentare la scoperta.
Le prime manifestazioni pittoriche che l’uomo preistorico ha lasciato a noi sono le pitture rupestri rinvenute nei vari continenti. Esse di frequente riportano scene di caccia, figure antropomorfe o zoomorfe, che narrano in maniera diretta, in assenza di un linguaggio scritto di successiva evoluzione, i sentimenti di quelle genti.
La mente umana sembra percorrere le strade e rispondere agli stessi istinti anche quando è da ritenersi improbabile la possibilità di una comunicazione fra gli autori delle rappresentazioni. Diverse figure sembrano riproporsi ovunque
I casi tipici di figure ripetitive sono “la spirale, singola o doppia, gli chevron, il cosiddetto capovolto o il simbolo del corpo umano schematizzato nei sui assi fondamentali.
Figura 1 – Cuevas de las Manos (Argentina-Patagonia)
Ovviamente a queste si aggiungono anche elementi tipici dei singoli luoghi di appartenenza, come le protomi taurine, d’ariete, per stare alla Sardegna, o le giraffe in Africa, guanachi in Sud America o mammut in Asia e in America Settentrionale.
E intuitivo, però, che la prima “firma” che l’uomo preistorico poteva lasciare di sé altro non poteva essere che la propria impronta. Così fra i simboli che maggiormente ricorrono in diverse cavità, pressoché ovunque nel mondo, c’è la propria mano.
I «segni di devozione» più noti sono però le impronte di mano in negativo. «Erano forse il modo più suggestivo per attingere potenza spirituale: mettevi la mano sulla parete, su di questa veniva soffiata della polvere colorata facendola diventare uguale alla roccia, e quando sollevavi la mano era come se portassi con te un po’ del potere del luogo» (Repubblica, intervista a Jean Clottes 2016)
Scorrendo velocemente un po’ di articoli sull’argomento troverete Grotta di Pech Merle, nel cuore dei Pirenei francesi, i cui graffiti sono fatti risalire al 20.000 / 25.000 a.C. (immagine 2)
Figura 2- Grotta di Pech Merle – Pirenei francesi
Anche nel Borneo Indonesiano, nella Grotta di Gua Garua, vi sono dipinte sei mani scoperte tra il 1977 e 1978. Ugualmente nel Sahara troviamo disegni/incisioni di mani ed anche di piedi (come nello Ouadi Djaret – Algeria). Questa tendenza a volersi rappresentare la si ritrova pure in America come nel Sud Ovest degli Stati Uniti, ad esempio nel Chaco Canyon. Infatti sulle pareti di arenaria vi è qualche mano dipinta o nella Newspaper Rock, nello Utah, con mani e piedi che raccontano antiche storie degli Anasazi. E ancora in California, nelle Church Creek Caves vicino a Monterey, sono disegnate una decina di mani utilizzando dei pigmenti ricavati non da rocce, bensì da microscopiche diatomee marine. Ancora mani dipinte in Argentina, l’Estancia la Maria o, sempre in Argentina, non lontano dalla Terra del Fuoco, esistono alcuni luoghi in cui sono state raffigurate centinaia di mani dipinte. Il sito più famoso è quello situato nel Canyon del Rio Pinturas, a 100 km dalla mitica Ruta 40, nella provincia di Santa Cruz, Cuevas de las Manos, in piena Patagonia. Il luogo, estremamente isolato è, ancora oggi, intensamente suggestivo.(figura 1) (http://www.terreincognitemagazine.it/)
Si ha notizia di ritrovamenti analoghi in Italia, in Sicilia, nella grotta Perciata; nella “Grotta dei Cervi” di Porto Badisco (Lecce) ; due in ocra rossa contornate di bianco nella Grotta Paglicci di Rignano Garganico (Foggia) e diverse altre si sovrappongono nella grotta Carlo Cosma a Santa Cesarea Terme (Lecce). (Purpura – UniPa).
In Sardegna non risulta essere mai stato ritrovato niente di analogo.
Ieri, alla redazione della Fondazione Nurnet, è arrivata una segnalazione di un cittadino del Nord Sardegna, Ivan Carta, il quale affermava di aver rinvenuto, e poi successivamente fotografato in compagnia dell’amico Giacomo Pes, una “pittura rupestre” molto simile a quelle sopra citate.
Nurnet, nei suoi sette anni di storia, ha ricevuto tante di queste segnalazioni che si sono rivelate prive di importanza archeologica. Spesso si è trattato di un chiaro frutto di suggestioni, conseguenza del desiderio, delle emozioni della scoperta, della ricerca di avventura sulle tracce di Indiana Jones o del noto archeologo autodidatta Schliemann.
Altre volte, come quella dell’invio del bracciale nuragico in plico chiuso e per raccomandata, si trattò di vera e propria, emozionante, avventura e scoop.
Ci andiamo sempre cauti e, sempre, rammentiamo le norme che obbligano la segnalazione alla Soprintendenza o ai Carabinieri.
Questi eventi rivestono, nei nostri scopi, nell’immaginario e nella cultura della nostra Fondazione, una importanza pedagogica in rapporto al patrimonio ereditario, identitario della nostra terra.
Assume quindi particolare rilievo l’evento, il gesto della condivisione gioiosa della notizia. Il patrimonio culturale e archeologico è di tutti e tutti dobbiamo rispettarlo e tutelarlo.
Noi quindi abbiamo visionato le foto e ci siamo convinti che la notizia dovesse essere data, successivamente alla segnalazione d’obbligo e di legge.
Abbiamo quindi indicato al Corpo dei Carabinieri per i Beni Culturali e alla Soprintendenza di Sassari il luogo di questo rinvenimento e fornito loro le foto riprese, le stesse che pubblichiamo qui, condividendole con tutti gli appassionati e cultori di Storia sarda.
Tuttavia, non essendo esperti titolati ma solo un gruppo di appassionati e studiosi, vogliamo che sia ben chiaro il fatto che ci rimettiamo totalmente agli studi e alle azioni di tutela che le istituzioni dovranno fare e che auspichiamo siano poste in essere quanto prima.