Se scava il profano, non profana lo scavo

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di Nicola Manca Mi è servito qualche giorno per metabolizzare un’esperienza così impattante. Ora, che sono pronto a raccontarla, potrò anche trarre le mie conclusioni. Ho avuto il piacere di partecipare come volontario alla campagna di scavo a Su Mulinu (Villanovafranca), diretta dal prof. Ugas. Assieme a me, vi erano altri 8 ragazzi: tutti studenti o ex studenti di archeologia o beni culturali, io ero l’unico non del settore. Nonostante questo fin dal primo giorno sono stato coinvolto in tutte le procedure di scavo, senza che mi venisse impedito alcunché. Mi è semplicemente stata fatta una raccomandazione: quando hai un dubbio chiedi. E io, che mi ritengo una persona non stupida, quando avevo un dubbio, da bravo scolaretto di prima elementare, alzavo la mano per richiamare l’attenzione e ponevo i miei quesiti che, sempre, sono stati dipanati sapientemente e con garbo. Una volta chiarite le idee andavo avanti. Lo scavo iniziava alle 7 del mattino e si concludeva alle 14, con un piccolo inframezzo alle 10:30. Dura la vita degli archeologi! Nonostante sia abituato a ritmi di lavoro intensi e ben più prolungati, tornavo all’alloggio distrutto, senza nemmeno la forza di mangiare. Scavare sotto il sole cocente di agosto, con quasi 40 gradi, mosche ovunque e in una posizione che è una commistione fra equilibrismo e contorsionismo non è facile. Se si aggiunge il dover trasportare pietre su passerelle di fortuna, issare secchi di terra e pietrisco, il tutto con un alto livello di concentrazione, si ha un’idea di cosa voglia dire fare l’archeologo. Sicuramente non pensavo fosse dinamico come Indiana Jones, ma nemmeno sfiancante come dovessi costruire una piramide! E invece l’ho testato sulla mia pelle. E tutti ci alzavamo carichi per una nuova giornata, vogliosi di passare il giorno ad essere abbrustoliti e sudati. E tutti lo facevamo in modo volontario, compreso il professor Ugas. La soddisfazione di partecipare alla creazione di un valore culturale per la propria comunità e la passione sono le forze che ho riscontrato in questo gruppo di giovani e non. Non pensavo, da esterno all’ambiente, di essere coinvolto così tanto e devo ringraziare per questo. Una settimana di scavo mi ha dato veramente tanto in termini di crescita ed è un’esperienza che sento di voler ripetere. La sera mi rilassavo passeggiando per le strade di Villanovafranca. Un paese di pietra del quale ignoravo la bellezza. Il nuraghe invece, come da tempo sostengo, è stata la calamita che mi ha permesso di vivere anche questo luogo, di scoprirne gli scorci e la gente. Ho parlato con tutti, ho raccontato le mie idee legate allo sviluppo locale e che con la Fondazione Nurnet stiamo portando avanti, ho scritto al sindaco Daniela Figus che prontamente mi ha ricevuto dimostrandosi attenta alle nuove dinamiche che stiamo portando avanti. Ma su tutte ho voluto fare questa esperienza per poter testare con mano se fosse possibile utilizzare le vacanze archeologiche, sulle quali Nurnet sta spendendo energie e risorse per la loro costruzione, avvicinando semplici appassionati come me agli scavi, permettendo poi di regalargli le emozioni di rimbalzo che un territorio è capace di trasmettere. Ho visto che è possibile, che il profano, se ben seguito e istruito sulle metodologie di scavo, non rappresenta un pericolo e men che meno viene percepito dagli addetti come tale. Rappresenta una risorsa e come tale va trattata. All’interno di questo contesto è plausibile costruire pacchetti che coinvolgano i comparti agroalimentari, la cooperazione fra territori, spettacoli e concerti di carattere etnico ecc. per dare nuova linfa ai luoghi sempre più spopolati e vigore ai giovani. Stiamo lavorando in sinergia con le amministrazioni affinché queste vacanze permettano di generare dei flussi economici tali per cui sia possibile ridare dignità a un lavoro così faticoso e svilito come quello dell’archeologo, attraverso una giusta retribuzione delle risorse umane messe in campo, sia possibile oltre che lo scavo anche la fruizione ottimale del monumento senza dimenticare il contesto entro il quale è inserito e senza che il contesto si dimentichi del monumento, la diffusione e promozione dello stesso e quindi del territorio e delle sue persone e tutte quelle azioni volte allo sviluppo locale. Testarlo sulla mia pelle per verificarne la praticabilità è stato un modo di dare una prova empirica al sistema che stiamo strutturando. E devo dire che è stata una bella sfida! Ora abbiamo una certezza sulla quale continuare a costruire, non un nuraghe ma un modello per la sua rinascita.