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di Giorgio Valdès Una delle domus della necropoli di Montessu, a Villaperuccio, presenta un portello affiancato da due piccoli betili. Considerato che l’apertura presumibilmente non aveva un utilizzo pratico, vista la sua ridotta dimensione, se ne può ipotizzare un’identificazione simbolica con il principio sessuale femminile, accoppiato a quello maschile raffigurato dai due betili. Le domus erano peraltro assimilate al ventre materno ed in esse venivano deposte le salme proprio in posizione fetale, completando così il ciclo della vita, dalla procreazione alla morte. Metafora che si ritrova anche in altre testimonianze del nostro antichissimo spirito religioso, come ad esempio nella Tomba dei Giganti di Is Concias a Quartucciu, in cui ancora una volta compare un piccolo betilo affiancato a un’apertura di ridotte dimensioni. Mi sono altresì domandato se i nostri antenati, quando decisero di realizzare sull’”anfiteatro” di Montessu l’ultima dimora dei loro cari estinti, lo avessero fatto perché sulla sottostante piana di “Terrazzu”, in prossimità del mare, si stagliano alcune colline che nel loro complesso delineano il profilo di una donna partoriente, emblema di fecondità e di rigenerazione della vita. Probabilmente non è casuale anche la denominazione di “Isola del Toro” attribuita allo scoglio che spicca sul mare al di là delle citate colline atteso che il toro è a sua volta simbolo di fecondità connessa alla potenza sessuale. Una delle sepolture di Montessu viene a questo proposito denominata “domus delle corna”, nella presunzione che i petroglifi che sono presenti al suo interno raffigurino delle corna taurine. Personalmente non concordo con questa interpretazione come può rilevarsi dal contenuto di un precedente post ( http://www.nurnet.it/it/1093/Ancora_sulle_Colonne_d'Ercole.html). Comunque, sempre a proposito di “domus de janas”, vorrei riproporre una considerazione già espressa qualche tempo fa: “Janna” (Ena, Genna) è un termine dialettale, ricorrente in centinaia di toponimi presenti in tutto il territorio regionale, che indica una porta, un accesso, un valico, un porto, il passaggio da un luogo ad un altro. Termine dal significato inequivocabile, contrariamente alla parola “Jana” che, nella tradizione comune, a volte identifica un’entità fantastica simile a una fata o a un folletto, nonostante in realtà rivesta una valenza ben più profonda. Sulle pareti interne di diverse “domus de janas” (ma anche su alcuni menhir) è riportato un bassorilievo che l’opinione consolidata degli esperti identifica con il simbolo egizio della “falsa porta”; cioè il luogo attraverso cui transitava l'anima del defunto, per allontanare gli incubi dai sogni dei dormienti o, in termini figurati, una sorta di cabina telefonica di collegamento tra il mondo terreno e quello dell’aldilà. Dalla “falsa porta” deriva l’interpretazione più corretta del nome attribuito a questi monumenti sepolcrali che, a giudizio di alcuni, ha il significato di “casa” in cui è presente la ”porta” sacra; quella “jana” che niente ha a che vedere con folletti simili alla Trilly di Peter Pan. Il significato di “porta”, attribuito alla parola “jana”, trova conferma anche nella tradizione classica dell’antica Roma e in particolare nel culto di Giano ( Janus ), divinità bifronte (spesso identificato con il sole) e custode ( Janitor ) delle porte, che tiene in mano il bastone e le chiavi ed il cui simbolo è appunto una porta chiusa. Il mese di Gennaio ( Januarius ), si identifica proprio con lo stesso Giano bifronte, che guarda indietro verso un anno della nostra vita che non tornerà mai più, e davanti, verso il tempo che ancora ci manca, analogamente a quanto rappresentato dalle “false porte” presenti nelle nostre “domus de janas”.