Shardana “de aundi beneis?”

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di Giorgio Valdès

Da dove provenissero gli Shardana è sicuramente un mistero particolarmente coinvolgente, in merito al quale non si hanno dati certi. Ma tutta la nostra protostoria è avvolta in una nebulosa intrisa di ipotesi più o meno realistiche. E ha ragione Francesco Murroni, che nelle prime pagine del suo libro “La Sardegna Preistorica e il Mediterraneo Antico” (Grafica del Parteolla – 2007), osserva che in merito all’antica Civiltà Sarda “l’unica certezza sembra essere la mancanza di certezze”.

Tra tutte le interessanti considerazioni contenute nel libro, abbiamo estratto alcuni brani, in uno dei quali l’autore cita l’archeologo e storico francese Michel Gras (Montpellier 1945), il quale scriveva che nella prima metà del XIV secolo a.C. il nome degli Shardana “appare in due lettere in lingua accadica inviate da Rib-Addi, governatore di Byblos, al faraone Amenophis IV-Akhenaten (circa 1377-1358 a.C.)”.

A questo proposito Francesco Murroni trae due conclusioni: “La prima è che gli Sherden sono stati individuati ancora prima del regno di Ramesses II. La seconda è che l’etnia degli Sherden (o dei membri della stessa), è presente nella zona siropalestinese fin dal XIV secolo a.C. Ovviamente, il fatto che quel gruppo etnico fosse nominato nel XIV secolo a.C. Ovviamente, il fatto che quel gruppo etnico fosse nominato nel XIV secolo a.C. lascia credere che esistesse nella zona ancor da prima. Anche se da considerarsi mere supposizioni, potrebbe appartenere a quei popoli che sin dal periodo di Abramo (1900 a.C.) o degli Hyksos si avventurarono a Sud e ad occidente alla ricerca di territori più ricchi e più fertili, oppure che fossero una componente degli Hyksos (intorno al 1750 a.C.)…”

Detto questo va considerato che gli egiziani non denominavano Hyksos i re pastori che governeranno il loro territorio dalla XIII alla XVI dinastia (1785-1530 a.C.) e parzialmente nel corso della XVII alternandosi con i re tebani (A. Gardiner “La Civiltà Egizia”), bensì Hqau-Khasut (capi delle terre straniere).

Come osservato dal glottologo Salvatore Dedola (“I cognomi della Sardegna”), i sei sovrani Hyksos di cui si ha menzione: Salitis, Seshi, Jacobher, Khayan, Apopi/Awserra, Khamudi/Arkhles/Ashera, hanno tutti corrispondenti nei cognomi sardi: Salis/Salidu, Cixi, Giacobbe, Chiano/Ghiani, Puppa/Inserra/Serra/Serrau, Arca/Arche/Asara/Azara.

Giunti in Egitto, essi introdussero non solo l’uso del carro da guerra, ma anche la tecnica della lavorazione del bronzo. All’inizio della XVIII dinastia, quando si ritiene che Ahmosis (1552-1526 a.C.) li avesse sconfitti insieme ai nubiani, si può ipotizzare che almeno parte di essi si fosse stanziata nel territorio a nord est dell’attuale penisola anatolica chiamato Caucaso: toponimo che presenta evidenti affinità con la dizione “Hqau-Khasut”.

Non saprei dire quando il termine Hqau-Khasut si trasformò in Hyksos, ma ricordo con simpatia una considerazione dell’amico Nicola Porcu, Ispettore onorario della Sovrintendenza per i beni subacquei, prematuramente scomparso sette anni orsono, che mi faceva notare, più o meno scherzosamente, che la parola “hyksos” sembra avere attinenza con il nostro “issus”, corrispondente al dimostrativo italiano “quelli”.

Ci sono poi altre considerazioni interessanti: l’analogia tra le strutture megalitiche sarde e caucasiche, già evidenziate in un precedente post; la coltivazione della vite, che pare fosse apparsa per la prima volta sia in Sardegna che nelle colline ai piedi del Caucaso; la presenza di fattori ereditari, come le macchie cerulee congenite, riscontrabili in misura maggiore nelle popolazioni sarde e in quelle caucasiche. A tutti questi indizi se ne aggiunge un altro, tratto da un vecchio post di Roby Sirigu, che riporta un pendente rinvenuto in Georgia, località transcaucasica, e datato 1400 a.C. (età del bronzo, cultura della Colchide). Nella figura si propone una comparazione tra tale pendente, in alto a sinistra, un monile rinvenuto nel nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca e conservato nel museo locale e due tipologie di pane della tradizione provenienti rispettivamente da Tramatza e da Villaurbana.

In allegato: un “collage” di monumenti megalitici sardi e caucasici (in alto il dolmen di Sa Coveccada a Mores, a sinistra, comparato ad un simile monumento caucasico; quindi una tomba caucasica e la tomba di giganti Sa Domu ‘e s’Orku a Siddi); Le foto singole del dolmen Sa Coveccada e della TdG Sa Domu ‘e s’Orku, sono rispettivamente di  Sergio Melis e Marco Cocco.