L’Isola che non c’è – 2

di Giorgio Valdès
Il precedente articolo, di titolo analogo, si concludeva con il rimando ad un allegato nel quale erano rappresentati i “Nove Archi”, cioè i nove paesi o razze che per l’Egitto rappresentavano l’intero genere umano, in cima ai quali erano effigiati, nel relativo cartiglio, i misteriosi “Haou-Nebout”.
Il collasso dell’Era del Bronzo coincide anche, come osservato nel libro di Berni e Longhena “Una Nuova Preistoria Umana –Ipotesi inedite sull’origine della Civiltà”, con “una migrazione non di tribù, ma di nove popoli” che va ricercata, come testimoniano gli Egizi, “in importanti mutazioni climatiche planetarie, ed è questo il quadro che viene a dipingersi osservando la scena del mondo mediterraneo al tempo di Meneptah (1213-1202 a.C.), succeduto a Ramesse II, che procede di poco il sopraggiungere della prima ondata di invasione”.
Per maggior chiarezza, ciò che sostengono Berni e Longhena è che la migrazione dei Popoli del Mare è stata “una diretta conseguenza dell’immane disastro naturale che proprio nelle Isole del Grande Verde sembrerebbe aver avuto il suo drammatico epicentro”.
C’è un po’ di incertezza, nello stesso libro, quando si tratta di allocare le isole poste al centro del “Grande Verde” e a questo proposito viene richiamato un brano del celebre egittologo Jean Vercoutter il quale affermava che << i testi ramessidi …fanno delle ”isole che sono in mezzo al mare” località d’origine dei “Popoli del Mare”…paese situato all’estremo nord del mondo e …habitat difficile da determinare>>. L’impressione personale è che, come sempre, si tenda a banalizzare o sminuire l’ipotesi che questi luoghi fossero o comprendessero la Sardegna e le altre isole del Mediterraneo occidentale e ad annacquare la dizione “Grande Verde”, spostandone timidamente la collocazione nell’Oceano Atlantico.
Tuttavia, a questo proposito, occorre richiamare gli studi dettagliati del professor Giovanni Ugas, che ricorrendo a numerosi e puntuali riferimenti bibliografici, definisce come “isole nel Grande Verde” “un complesso di terre insulari o comunque rivierasche mediterranee del lontano Occidente di cui facevano parte innanzitutto la Sardegna con la Corsica e la Sicilia”(Giovanni Ugas: “Shardana e Sardegna”). Va da sé che il “Grande Verde” non poteva che essere il Mediterraneo occidentale.
Quale cataclisma può essere quindi avvenuto intorno al 1200 a.C.?
Secondo Berni e Longhena “recenti studi di archeosismologia affermano che l’Egeo, la Grecia e gran Parte del Mediterraneo Orientale avevano sofferto di terremoti seriali (earthquake storm) che iniziarono verso il 1220 a.C. e durarono per circa cinquant’anni sino al 1170 a.C.” colpendo diversi paesi tra cui Micene, Tirinto, Pilo, Troia, Hattusas, Ugarit, Megiddo ed Enkomi a Cipro.
Al proposito richiamano gli studi di K.Kilian, archeologo orientalista ed esperto in studi micenei, il quale riferiva che “Le grandi catastrofi, certo almeno quelle di Pilo, Menelaion, Micene, Tirinto, Midea, Proph, Elias e Troia, sono dovute ad un evento naturale e non a un diretto intervento umano…”
Ma anche Itamar Singer, dell’Università di Tel Aviv, riteneva “che la fine del XIII secolo e l’inizio del XII fossero stati colpiti da un disastro senza precedenti e che la fame avesse afflitto un territorio estremamente vasto”.
Inoltre, le ricerche condotte sui pollini dalle Università francese di Tolosa e dalla Yale University “hanno portato ad un identico risultato: la fine dell’Età del Bronzo coincide con una siccità che durò 300 anni. Un cambiamento climatico eccezionale di cui non conosciamo la causa, almeno al momento determinò una grande carestia che obbligò un gran numero di individui a cercare sostentamento altrove” (Berni e Longhena: “Una Nuova Preistoria Umana –Ipotesi inedite sull’origine della Civiltà”).
Un evento naturale distruttivo e due invasioni dei Popoli del Mare nell’arco di 30 anni si possono quindi ragionevolmente collegare al “collasso” dell’Età del Bronzo.
Gli autori del libro citano quindi il racconto biblico delle piaghe d’Egitto inviate da Mosè, per richiamare un recente studio americano, quindi trasfuso in un documentario televisivo, dove “le sette piaghe sono interpretabili come eventi concatenati che originarono da un’unica causa innescante: uno sconvolgimento che portò il mare a penetrare profondamente lungo il corso del Nilo tanto da cambiarne il senso della corrente”.
Cosa può spingere il corso di un fiume come il Nilo ad invertire il senso della sua corrente? Probabilmente un’onda o più onde gigantesche causate da qualcosa di terribile ed inaspettato, probabilmente, come scrivono gli autori “Un corpo celeste che in rotta di collisione terrestre sia precipitato in mare potrebbe ovviamente spiegare sia la pioggia di fuoco che l’onda anomala marina causa dell’inversione della corrente del Nilo.”
Occorre tuttavia andare oltre ed esaminare le testimonianze scritte dell’epoca, ma anche interpretare senza pregiudizi le leggende che le accompagnano, per comprendere se e quanto ci sia di vero o verosimile in questa immane catastrofe, forse originata dalla caduta in mare di un corpo celeste, che a sua volta determinò uno spaventoso tsunami e il successivo esodo di tanti popoli.
In un prossimo post si vedrà di riportare queste testimonianze, per lo più citate nel libro di Berni e Longhena, ma prima di farlo conto a breve di riproporre un post intrigante sulla caduta di Fetonte nel fiume Eridano perché, come accennato…i miti non vanno mai derisi o banalizzati, ma interpretati.

In allegato: dettaglio della battaglia di Ramesse III contro i Popoli del Mare su una parete del tempio di Medinet Habu

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