L’Isola che non c’è – 3

di Giorgio Valdès
Ripropongo alcune vecchie considerazioni sul mito di Fetonte (Ovidio “Le Metamorfosi”), rammentando comunque, e per l’ennesima volta, quanto affermato dal celebre archeologo belga naturalizzato italiano Louis Godart: “le vecchie leggende affondano le loro radici nella Storia ed è certo che alla base di qualunque mito narrato dagli Antichi vi è una verità storica che la critica moderna deve tentare di ritrovare e di spiegare ”.
In un post che conto di presentare a breve su questa pagina, vedrò di spiegare più dettagliatamente perché ho voluto richiamare in sintesi questo avvenimento mitologico, la cui traduzione completa riporto nel link http://www.miti3000.it/mito/biblio/ovidio/metamorfosi/secondo.htm consigliandone la lettura, poiché
le descrizioni apparentemente fantasiose di Ovidio potrebbero ragionevolmente celare fatti reali di cui, come detto, conto di riferire prossimamente.
Fetonte, figlio del dio solare Helios, un giorno ottenne dal padre il permesso di guidare i “cavalli del sole” lungo la volta celeste.
Tuttavia ne perse il controllo ed essi, imbizzarriti e galoppando all’impazzata combinarono un disastro epocale, incendiando e facendo tremare le terre che si affacciavano sul Mediterraneo, prosciugando l’acqua dei fiumi, spegnendo le foci del Nilo e facendo ritrarre i mari.
Al che Zeus, furibondo, lo abbatté con un fulmine. Cosa successe subito dopo ce lo racconta Ovidio nelle sue “Metamorfosi”, scrivendo che “Phaëton per caelum praecipitat et in Eridanum cadit ubi Naides Hespiriae in tumulo corpus condunt” (Fetonte precipita nel cielo e cade nell’Eridano, dove le Naiadi dell’Esperia ne seppelliscono il corpo in una tomba).
Il mito di Fetonte lo si ritrova anche nel capitolo III del Timeo di Platone, quando il vecchio Crizia racconta a Solone tale vicenda (ne riporto solo una parte nella traduzione dal greco di Francesco Acri), prima di addentrarsi nella descrizione dell’isola di Atlante: “Fetonte, figliuolo del Sole, una volta aggiogato i cavalli al carro del padre, e montatovi su, non sapendo carreggiare la strada, avere arso ogni cosa sopra la terra, morendo egli di folgore; questo a forma di favola; il vero poi è lo dichinamento degli astri che si rivolvono per lo cielo attorno alla terra, e lo incendimento di tutte le cose sopra la terra per molto fuoco. Piú allora periscono quelli che abitano in su le montagne e in alti luoghi aridi, che non quelli appresso al mare od ai fiumi; ma noi, il Nilo che bene è salvatore nelle altre distrette, campa ancora di questa, sciogliendosi dalle ripe e inondando. E allora che diluviano la terra gli Iddii, si salvano quelli di su le montagne, i bifolchi e i pastori; là dove gli abitatori delle vostre terre portati sono dai fiumi dentro del mare: ma in questa contrada né allora, né le altre volte, mai da su non ruina l’acqua nella campagna; per lo contrario, di giú levasi ella naturalmente, e sí allaga. E però si dice che serbate sono qua le memorie delle antichissime cose, da poi che sempre, alle volte piú e alle volte meno, è umana semenza in tutt’i luoghi de’ quali non la discaccino verni crudi o caldi distemperati. Per questo, ogni bella cosa grande o in qual si voglia modo notabile appresso voi intervenuta, o qua, o in altri luoghi, la quale noi avessimo conosciuto per fama, tutto registrato è infino dall’età antica e serbato qua nei templi. Ma i vostri avvenimenti, e quelli degli altri, sono ogni volta registrati di fresco nelle scritture e negli altri monumenti che a repubblica si convengono; e novamente a usati intervalli di anni, sí come un morbo, scoppia, ruinando su voi, la fiumana di cielo, e lascia di voi quelli selvaggi di muse: sicché tornate da capo come giovini, non sapendo nulla di tutti gli avvenimenti di qua, né di quelli presso di voi, che furono negli antichi tempi. Onde, o Solone, quello che hai narrato ora tu delle generazioni vostre, quasi differisce poco dalle novellette dei fanciulli; imperciocché voi non ricordate che uno solo diluvio della terra, là dove furono molti per lo passato; e cosí non avete pure nuove che vissuta sia nella vostra terra la piú bella e buona generazione di uomini che mai si vedesse, de’ quali siete usciti, tu e tutta la cittadinanza, del piccol seme salvato; e vi mancan le nuove per ciò che di quelli sopravvanzati molte generazioni finiron la vita loro muti di lettere. Un tempo, o Solone, avanti il paventosissimo scempio delle acque, la repubblica, la quale or si dice degli Ateniesi, era eccellentissima in arme, e in tutto governata a leggi bonissime; e si narrano di lei opere molto leggiadre e ordinanze bellissime sovra tutte quelle che il sol vide sotto il suo cielo, delle quali noi si abbia novelle”.
Tanto premesso, e per tornare al mito di Fetonte, se si considera che secondo la leggenda Helios, terminato il suo corso quotidiano, scendeva nel giardino delle Esperidi e vi lasciava i suoi cavalli a pascolare, e con loro riposava durante la notte, e che le Esperidi erano figlie di Forco, re mitologico di Sardegna e Corsica, perché non pensare che lo “spot” descritto da Platone e quindi da Ovidio fosse proprio la Sardegna?
Rimane però da comprendere che rapporto ci potesse essere tra la nostra isola e l’Eridano.
Un fiume che secondo Virgilio era ubicato in quegli “inferi” posti notoriamente nel lontano occidente e identificato a volte con il Po, a volte con il Rodano.
Ebbene, sulla costa orientale del Sarrabus, in prossimità della foce del Flumendosa, e in prossimità dell’antico scalo portuale di Sarcapos, esiste una piana denominata “Eringiana”. Sarà stato proprio il Flumendosa il mitico Eridano?
In allegato: La pianura Eringiana riportata sulla cartografia IGM.

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