L’Isola che non c’è – 6

di Giorgio Valdès
Questo post conclude, almeno per ora, le considerazioni riportate nei 5 precedenti articoli, pubblicati con lo stesso titolo ma con numeri d’ordine crescenti.
Voglio in primo luogo citare Widmer Berni e Maria Longhena, autori del bel libro: “Una nuova preistoria umana – Ipotesi inedite sull’origine della Civiltà” (2019) ma anche lo stesso Berni per aver scritto con Antonella Chiappelli, 12 anni fa :“Haou-Nebout – I Popoli del Mare”: opera altrettanto interessante, da cui sono state attinti diversi brani compresi nel libro più recente.
Da questi libri e dall’ultimo in particolare, ho tratto gran parte delle notizie e delle testimonianze riportate in questo e nei precedenti post e sono innanzitutto grato agli autori per aver inserito nel sotto titolo il termine “ipotesi”, che denota un’onestà intellettuale che si contrappone alla supponenza di coloro, e sono tanti, che spacciano semplici supposizioni per verità assolute.
Ovviamente la mia gratitudine è motivata soprattutto dalla gran quantità di informazioni e testimonianze, provenienti soprattutto dalla bibliografia e iconografia egizia, con le relative traduzioni compiute da esimi archeologi ed egittologi.
Le considerazioni contenute nei due libri sono a mio giudizio per gran parte condivisibili, mentre su altre non concordo, del tutto o solo parzialmente.
Una di queste, in particolare, mi lascia molto perplesso e serve da stimolo per una serena riflessione.
Innanzitutto viene riportata questa frase di Gardiner: “Proprio agli inizi del regno (Ramesse II, circa 1275 a.C. – mia nota) e per la prima volta in testi egizi, troviamo un accenno agli Sherden, pirati che più tardi diedero il nome alla Sardegna, ma che in quell’epoca è probabile abitassero in tutt’altra parte del Mediterraneo”.
Evito di commentare queste considerazioni, su cui certamente non concorderà il professor Ugas che presumo dissentirà anche su un successivo commento degli autori del libro, dove si legge: “Erano audaci guerrieri Haou-Nebout del Grande Verde coloro che si stabilirono in Sardegna sovrapponendosi alla civiltà nuragica che da secoli popolava l’isola”.
Tenuto conto che secondo Widmer Berni questi invasori provenivano dall’Oceano Atlantico , mi sentirei di affermare che la loro “sovrapposizione” alla civiltà nuragica si tirava dietro anche ad una sfiga colossale.
Se difatti, come riferito nei precedenti post, all’inizio del XII secolo a.C. era avvenuto un cataclisma immane che aveva coinvolto l’intero Mediterraneo, questi “Haou-Nebout” atlantici non avevano fatto nemmeno in tempo ad occupare l’isola, che già dovevano abbandonarla cercando rifugio altrove.
Per intenderci, non mi scandalizza l’idea che questa etnia provenisse direttamente dall’Atlantico, ma “non torna” assolutamente il periodo del suo presunto arrivo in Sardegna.
A questo proposito è risaputo che dal Neolitico medio (cultura di Bonoighinu 4000-3400 a.C. circa), la conformazione cranica dei sardi era prevalentemente “dolicocefala” e rimase così sino a molto tempo più tardi, quando nel corso dell’eneolitico si fuse con nuovi individui “brachicefali”.
Teniamo anche conto che la conformazione dolicocefala la ritroviamo anche in Egitto e a questo proposito la ricercatrice Anna Bacchi, osservava che “negli anni Trenta del secolo scorso, l’egittologo Walter Bryan Emery scoprì a Saqqara resti di individui predinastici dolicocefali con chiome chiare, corporatura massiccia e molto più alti delle genti locali, che associò agli Shemsw Hor”.
Scusate se mi dilungo, ma questo è un passaggio importante perché come scriveva Sir E.A. Wallis Budge, insigne egittologo, filologo e orientalista inglese (1857-1934) questi Shamsw Hor o Horo Harakhty, (i compagni di Horus) facevano parte “di una razza (o cultura) venuta dall’Occidente a cui si deve “ la formazione delle prime dinastie egizie”.
Formazione che avvenne presumibilmente nel corso della cultura di Naqada II, che si sviluppò in un periodo compreso tra il 3650 e il 3300 a.C.
Va quindi osservata, in primo luogo, l’analogia della conformazione crenica dei sardi neolitici e di coloro che giunti da occidente in Egitto, si pensa avessero fondato, nello stesso periodo, le proto dinastie faraoniche.
Dalle tombe di Ieraconpolis di Naqada II proviene, come scrivono Berni e Longhena, “Copiosa ceramica, un eccezionale affresco tombale, numerosi graffiti ed altri manufatti che propongono un’iconografia indiscutibilmente legata alla navigazione”.
In particolare è stata rinvenuta la raffigurazione di “un’imbarcazione completa di albero e vele ed un affresco datato 3500-3200 a.C. che rappresenta addirittura un’intera flotta”. Di questo affresco avevamo già riferito in diversi e precedenti post, ma allo stato attuale è importante sottolineare come Berni e Longhena siano convinti che le barche di questa flotta rappresentassero le navi oceaniche degli Haou-Nebout atlantici, giunti in Egitto per dare appunto origine alle protodinastie.
Nello stesso dipinto si individuano anche alcuni individui dolicocefali e con capigliatura bionda (per intenderci la stessa tipologia rinvenuta in Egitto a Saqqara e in Sardegna nel neolitico medio).
Si sta comunque parlando di quegli Haou-Nebout atlantici che secondo gli autori del libro ripetutamente citato, più di duemila anni più tardi si sarebbero stabiliti in Sardegna “sovrapponendosi alla civiltà nuragica che da secoli popolava l’isola”.
Ma c’è qualcosa che non quadra perché, come avevamo affermato tempo fa, all’interno della così detta “tomba delle corna”, nella necropoli di Montessu a Villaperuccio, sono presenti dei petroglifi che sembrano riprodurre proprio le barche effigiate nella pittura di Ieraconpolis, e in particolare l’imbarcazione nera.
Entrambe presentano un’alta prua ricurva e al centro dello scafo un doppio “naos”.
La similitudine (cfr.allegato) appare più che evidente mentre è poco credibile che il petroglifo di Montessu possa assimilarsi ad una protome taurina, salvo si trattasse di un bovide anatomicamente deficitario, con cranio bitorzoluto e corna decisamente asimmetriche.
Non si può affermare con certezza se la raffigurazione di Ieraraconpolis sia precedente, coeva o seguente a quella presente nella sepoltura di Montessu, che può datarsi intorno al 3200 a.C.
C’è però da osservare che secondo la professoressa Mariagrazia Celuzza, direttrice del Museo Archeologico e d’Arte della Maremma e docente di Museologia e Museografia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena, era manifesta l’esigenza di rivedere il quadro cronologico della preistoria, apportando delle correzioni variabili a seconda dei periodi pur mantenendo valide quelle dell’area egea e nilotica che presentavano date certe.
La professoressa Celuzza sosteneva in particolare che “in alcuni casi la correzione necessaria è molto alta: alle date intorno al 3000 a.C. ad esempio bisogna aggiungere 7-800 anni”.
Ciò significa che anche a voler essere prudenti e a voler retrocedere solo di qualche centinaio d’anni l’edificazione delle domus de janas di Montessu, la “ formazione delle prime dinastie egizie” venne effettuata dagli stessi navigatori Haou-Nebout probabilmente provenienti dall’Atlantico, dopo essersi insediati in Sardegna intorno al 3500 a.C. o anche prima.
Si potrebbero anche esaminare altre alternative: che gli Haou Nebout avessero fatto una “toccata e fuga” in Sardegna prima di giungere in Egitto e qualche bravo scultore avesse voluto incidere sulla pietra il profilo delle navi dei nuovi venuti; che siano stati gli antichi sardi, già avvezzi alla navigazione, visto che commercializzavano per mare l’ossidiana già nel V o Vi millennio a.C., ad acquisire le tecniche dei nuovi venuti per recarsi in Egitto, nel periodo di Naqada II, e fondare quindi le protodinastie.
Personalmente propenderei per la seconda ipotesi ma, in un modo o nell’altro, che gli Haou-Nebout siano giunti in Sardegna in periodo nuragico mi pare un’ipotesi assolutamente campata in aria.
Se quindi gli stessi Haou Nebout , che formarono le prime dinastie egizie e che, per rispetto venivano effigiati come i primi dei “Nove Archi” fossero giunti dalla Sardegna, tutto ciò che è stato scritto in questi 6 post ne è la conseguenza logica e molte tessere della storia di quei tempi remoti ritornano al loro posto.
Vorrei proporre un’ultima osservazione: Il ricercatore Paolo Baratono afferma che “Nei primi testi egizi, i celebri Testi delle Piramidi, emerge ossessivamente la menzione dell’Orizzonte dell’Occidente” .
A questo proposito lo stesso Baratono evidenzia un passo assai significativo, presente in quei remoti testi , quando il dio supremo afferma: “io ho fatto grande l’inondazione, io ho fatto che i loro cuori cessassero di dimenticare l’occidente”: esplicita dichiarazione della realtà del disastro “atlantideo”.
Difficile pensare che questo continuo richiamo a una lontana terra insulare fosse un semplice frutto della fantasia, mentre è più ragionevole pensare che si alludesse a un luogo reale situato a Ovest.
Questo punto cardinale, per dirla con la celebre egittologa Betrò “era la regione dove i morti erano seppelliti per rinascere e raggiungere la vita eterna e i testi egiziani lo chiamano il bell’Occidente”.
Per concludere, se la catastrofe dovuta all’impatto sul Mediterraneo di un corpo celeste – che aveva causato la grande inondazione di cui si è riferito nei precedenti post di questa serie-, è effettivamente avvenuta, è anche altrettanto probabile che l’isola sacra posta nel mare del tramonto, -dove il carro del sole terminava ogni giorno il suo percorso lungo la volta liquida del cielo- fosse effettivamente esistita.
Mi permetto allora di proporre la candidatura della Sardegna, a costo di apparire ancora una volta sardocentrico.
In allegato: I particolari della barca nera tratto dalla pittura parietale di Ieraconpolis (Naqada II) e del petroglifo inciso all’interno della “Tomba delle corna” di Montessu a Villaperuccio.

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