di Giorgio Valdès
Si racconta che Temistocle (530/525 – 460 circa a. C.), artefice della potenza navale ateniese, avesse asserito che “chi ha il dominio del mare ha il dominio di tutto”.
Considerazione condivisibile, atteso che sin dai tempi più antichi il controllo dei mari era determinante per la vita dei popoli e delle nazioni.
A maggior ragione per le terre insulari, dove i traffici commerciali e i rapporti con altri paesi potevano svolgersi esclusivamente traversando le acque.
A parte considerare che l’attività della pesca è stata ed è ancora una risorsa fondamentale per l’approvvigionamento alimentare dei popoli, e di quelli che si affacciano sulle fasce costiere in modo particolare.
Ma, in sintesi, quale è stato il rapporto degli antichi sardi con il mare?
Già nel VII/VI millennio a.C., minerali ed oggetti di ossidiana – il vetro vulcanico da noi chiamato “sa perda corbina” estratto dalle cave del Monte Arci (Or)- venivano trasferiti sulle coste della Corsica, dell’attuale Toscana e dell’Iberia.
In assenza di collegamenti aerei (perdonate la battuta), ciò poteva avvenire esclusivamente via mare, su imbarcazioni di cui non conosciamo la tipologia.
Peraltro non poteva essere diversamente e in ogni caso, se in quel remoto periodo gli antichi sardi già veleggiavano, qualche millennio più tardi avrebbero sicuramente migliorato le tecniche di navigazione ( come ho avuto modo di osservare scherzosamente tempo fa: se in seguito non brevettarono il motore fuoribordo, poco ci sarebbe mancato).
Si tratta ovviamente di riflessioni che non hanno niente di “scientifico” ma che seguono comunque un filo logico.
Passiamo quindi al IV millennio a.C. (o forse anche prima secondo alcune teorie archeometriche che retrodatano di diversi secoli il megalitismo europeo e più in generale i periodi in cui, in occidente, l’uomo edificò strutture in pietra di vario genere).
Nella così detta “domu delle corna” a Montessu, sono incisi alcuni petroglifi che in realtà non hanno nulla a che vedere con delle protomi taurine, ma sembrano invece raffigurare le barche solari che compaiono in una pittura parietale e in alcuni vasi della cultura egizia di Naqada II, che si svolse tra il 3500 e il 3200 a.C. (l’argomento è stato succintamente trattato nel post che segue):
Anche questo può considerarsi un altro punto, per quanto labile, a favore dei “sardi navigatori”.
Facciamo “il salto della quaglia” ed arriviamo all’Età del Bronzo, quando sbucano come funghi svariate migliaia di nuraghi, molti dei quali posti a presidio delle coste e degli approdi.
A quelli attualmente riconoscibili e a quelli censiti sul geoportale Nurnet, si aggiungono i nuraghi e gli approdi attualmente sommersi dal mare e difficilmente individuabili perché smantellati dalle correnti e dal moto ondoso.
A questo proposito Nicola Porcu – amico prematuramente scomparso nell’agosto del 2015, ispettore onorario della Sovrintendenza per i Beni Subacquei e sommozzatore professionista-, scriveva nel suo libro “Hic-Nu-Ra, racconto di un’altra Sardegna”, che <<le coste dell’Isola erano totalmente “presidiate”. Intendo dire che in quarant’anni di ricerche subacquee ho potuto constatare che qualsiasi insenatura, qualsiasi riparo, qualsiasi spiaggia risulta controllata da nuraghi, spesso anche imponenti…I nuraghi disposti lungo la costa erano in collegamento tra loro, posizione che consentiva un controllo continuo delle imbarcazioni che viaggiavano per il mare sardo…Questa straordinaria organizzazione lascia intendere che questo popolo era capace di creare un complesso sistema insediativo collegato, lungo la costa, alla navigazione e supportato da un’eccezionale interconnessione tra la componente politica, economica, militare e religiosa…Tutto lascia pensare, quindi, che nel secondo millennio a.C. e in parte del primo, la Sardegna fosse la più grande potenza marinara del Mondo Antico…Le ricerche subacquee da me eseguite negli anni hanno consentito di effettuare rinvenimenti di notevole importanza e, nel contempo, di valutare sia l’innalzamento del livello medio del mare avvenuto nei secoli sia l’incessante azione demolitrice del moto ondoso…>>
Facciamo adesso un passo indietro per cimentarci in un’altra digressione.
Nell’antico Egitto con la dizione “nove archi” si indicavano le nove razze che secondo la popolazione nilotica rappresentavano l’intero genere umano o comunque le genti con cui avevano avuto a che fare.
In cima alla lista sono sempre raffigurati, sicuramente non a caso, i popoli delle isole, i così detti Haou-Nebout.
Berni e Chiappelli, nel loro libro “Haou-Nebout- I popoli del mare” scrivono tra l’altro che “Erano audaci guerrieri Haou-Nebout del Grande Verde coloro che si stabilirono in Sardegna, sovrapponendosi alla civiltà megalitica che da secoli popolava l’isola…Dalla presenza ancora oggi di circa settemila castelli nuragici si deducono chiaramente le caratteristiche e gli aspetti di questa società fondata su confederazioni di tipo militare”.
A parte la considerazione sulla società fondata su confederazioni di tipo militare, che lascia il tempo che trova, è credibile che un’isola che da millenni, per quanto sin qui riferito, aveva intrattenuto uno strettissimo rapporto con il mare, si fosse prestata a farsi colonizzare da genti straniere giunte da chissà dove?
Non è al contrario più credibile, come afferma l’archeologo Giovanni Ugas, che fossero proprio gli Shardana, identificabili con i sardi nuragici, quel “popolo egemone nel Mediterraneo occidentale, nel quale esercitarono una leadership militare di lungo periodo, dal 1500 al 1200 e oltre avanti Cristo».
Gli stessi Shardana che nella prima metà del XII secolo a.C., a capo della confederazione dei Popoli del Mare, sconvolsero l’assetto delle terre allora conosciute.
E, sempre per citare il professor Ugas, “Erano un popolo benestante grazie a un’agricoltura e una pastorizia floridi. Erano grandi navigatori, capaci di dominare il Mediterraneo occidentale e persino di giungere verso Oriente passando attraverso le Isole della Grecia, di Creta, di Cipro, fino all’Egitto.
Ma, soprattutto, erano terribili guerrieri. Tremilatrecento anni fa i sardi costruttori di nuraghi imperversavano, temutissimi, nel Verde Grande (così gli Egizi dei potenti faraoni chiamavano il Mediterraneo), e per tutta l’età del bronzo, fino all’XI secolo avanti Cristo, si distinsero per le loro capacità militari”.
Capacità militari ancora persistenti nel VI secolo a.C. se è vero che nel 540 a.C. il generale cartaginese Malco, a capo di un esercito di 80 mila uomini, venne sconfitto dai sardi.
Circostanza riferita dallo storico romano Giustino (II/III sec. d.C.), quando scriveva che i cartaginesi “portata la guerra in Sardegna, furono gravemente sconfitti in una grande battaglia dove persero la maggior parte dell’esercito…”
Per concludere, è legittimo che ciascuno possieda o esprima il proprio punto di vista sulle vicende che legarono le antiche popolazioni sarde al mare, ma è anche vero che l’ipotesi di un’origine allogena degli Shardana, personalmente (e per quello che conta), non mi convince.
In allegato: Giacimento di ossidiana in località Conca ‘ Cannas a Masullas (Visit Masullas); Reperti di ossidiana conservati nel GeoMuseo Monte Arci di Masullas; La “domu de janas delle corna” a Montessu (Villaperuccio) nella foto di Manlio Rubiu e Marina Olla; la pittura parietale e il vaso della cultura egizia Naqada II; i nuraghi costieri Nastasi (Tertenia), Sellersu (Barisardo), Perdosu (Teulada), Golunie (Orosei), rispettivamente nelle foto di Bibi Pinna, Gianni Sirigu, Alex Sardegna e Andrea Mura-Nuragando Sardegna.