di Antonello Gregorini
dopo la visita alla Domus regina di Pubusattile Peppino ci fa segno di seguirlo.
Il costone di trachite nei millenni ha subito più frane, fra gli anfratti si intravedono i resti delle varie e possibili tombe. Anche al suolo restano circoli di nicchia chiaramente lavorati e voltati, di cui resta solo la base.
Seguiamo la guida fra anfratti muschiosi e scivolosi, dove occorre sostenersi e procedere a quattro zampe. Si sale e si scende all’ombra di querce e tafoni. “Guardate quest’angolo di natura e ditemi se non è il luogo ideale per la meditazione”, dice Peppino. Davanti a noi un salottino naturale, ampio qualche decina di metri quadri, totalmente verde, in alto, in basso e di lato. Effettivamente si, è così, avvertiamo un buon senso di appagamento.
Andiamo avanti nella galleria sotto il bosco, sempre lungo il costone, arriviamo davanti a un ambiente in cui le rocce, alte poco più di due metri, sono arcuate, disegnano un circolo (tutto in Sardegna è circolare!), la cui disposizione farebbe pensare a un cromlech o, comunque, a una costruzione di carattere religioso legata alla tumulazione o all’antico rito dell’incubazione.
Tocchiamo le rocce, rispettosi, immaginiamo la costruzione con il circolo concluso, l’accesso verosimilmente esposto al sud, al solstizio. Gli antichi, sos mannos, raccolti in preghiera meditativa. Anche qui il muschio, da cui colano gocce d’acqua che bagnano i conci della costruzione, svolge un importante ruolo artistico e scenografico. Tutto appare volto al sacro.
Seguiamo ancora il sentiero dietro Peppino, affamati di ulteriori sorprese. Infatti, “Guardate qua! Non lo so, magari l’ha scolpita un moderno pastore, magari è successiva alla necropoli, però…”
Sono sbalordito. all’intersezione di un breve e piccolo impluvio naturale con il costone su cui fu realizzata la necropoli, l’acqua scende dolcemente, senza scrosci, accarezza la roccia e confluisce in una spaccatura a fianco della quale, qualcuno, realizzò un bacile a cui abbeverarsi. La fonte, non databile, costruzione meravigliosa, continua per qualche metro a valle, scolpita in articolate canalette e laccus, per poi continuare il deflusso e dare acqua al bosco.
Chi conosce le narrazioni, scientifiche o meno, sviluppate attorno ai culti delle acque svolti dagli antichi sardi, vede un antesignano dei successivi pozzi sacri e delle opere idrauliche nuragiche, volte ai vari usi rituali o di semplice e necessario approvvigionamento idrico del villaggio.
Risaliamo verso la macchina. Peppino ci racconta dei tanti amici accompagnati nelle sue escursioni. Ci mostra dei filmati dell’ultima “passeggiata” nei canyon, in sos gutturos del Supramonte di Baunei. Racconta dell’amica cultrice delle varie dottrine orientali e dell’emozione che provò dentro il mausoleo ipogeico di S’Incantu, luogo di fortissime emanazioni energetiche e spirituali.
Io ricambio con la vicenda di Su Benatzu, fresco della lettura e pubblicazione del libro di Angelo Pani, l’emozione della scoperta, anche della sola lettura del resoconto, la curiosità dell’ignoto che ci pervade e condividiamo.
“Ora, se abbiamo ancora tempo e non dovete tornare a Sassari, andiamo a Calarighes. Vedrete delle protomi taurine o quel che sono, molto simili a quelle che mi hai appena mostrato di Brodu, a Oniferi. Ma se abbiamo ancora tempo vi faccio vedere anche S’ena Cuada,
Andiamo, certo … e chi se le perde!
Segue