ITTIRI, IN GIRO CON PEPPINO – 3 – CALARIGHE – S’ENA CUADA

di Antonello Gregorini

““Ora, se abbiamo ancora tempo e non dovete tornare a Sassari, andiamo a Calarighes. Vedrete delle protomi taurine molto simili a quelle che mi hai appena mostrato di Brodu, a Oniferi. Ma se abbiamo ancora tempo vi faccio vedere anche S’Ena Cuada”” . Così eravamo rimasti nella parte di racconto precedente.

Saliamo in macchina, percorriamo pochi chilometri di strade rurali. Apriamo e chiudiamo un paio di cancelli, come d’obbligo per chiunque voglia girare per le campagne sarde.

 

Aprire e chiudere i cancelli dei tancati

 

Peppino chiama i proprietari per avvisarli della nostra presenza. CI fermiamo  all’esterno di un tancato all’interno del quale è visibile un ammasso di trachite, di fianco a una costruzione in pietra non terminata, una macchina abbandonata, fasci di tondini metallici, ruderi meccanici abbandonati da chissà quanti decenni. Ahimè, quanta trascuratezza nelle nostre campagne.

Giriamo attorno, saliamo e scendiamo dall’ammasso roccioso. Su quello che per noi è retro sono ben evidenti i fori delle due domus de janas di Calarighe. “Ti avevo detto che ti avrei fatto vedere delle protomi taurine di analogo stile a quelle delle domus de janas di Brodu, che tu mi hai mostrato,  a Oniferi. Eccole.”

 

Calarighe 1
Calarighe 1

 

Mi piego sulle gambe e mi inginocchio per entrare. E’ così, stesso stile, stessa conformazione geometrica.

“Ma secondo te sono davvero protomi, come sin qui interpretate dalla letteratura scientifica?” chiedo a Peppino.

“Secondo me no”, risponde chiaro.

“Ecco, non so cosa rappresenti. Ricordano molto i “Torii” giapponesi o l’immagine della dea Iside. Vi è una analogia nel fatto che sono poste sull’architrave di una porta sacra, templi funerari o comunque sacri.” Propongo la mia tesi archeo fantasiosa.

 

Analogie simboliche

 

Procediamo. “Qui vicino ce n’è un’altra. Non hai idea di quanto ho faticato per individuarla, quante roncolate per liberare l’accesso dai rovi”.

Anche in questa protomi, o quel che sono, ma più elementari e diverse per geometrie. Lungo il sentiero attraversiamo un muretto a secco di confine, sullo stipite un concio particolare attira la mia attenzione, guardo meglio.

“Ma è un meraviglioso bacile. Dio. Chissà da dove arriva. Certo che non poteva essere molto distante da qui”. Un parallelepipedo di trachite, concavo, ben scolpito all’interno, con sui bordi minori le scanalatura da cui far entrare e uscire l’acqua. Più che un abbeveratoio un bacile per attività casalinghe.

Un bacile di età ignota a far da stipite di un muretto a secco
Un bacile di età ignota a far da stipite di un muretto a secco

 

 

Arriviamo alla domus di Calarighe II, o meglio III, o chissà che numerazione, perché la precedente aveva la domus sorella di fianco.

Mi piego e striscio il ventre al suolo per entrare. In questa tomba i simboli sull’architrave della cella interna sono diversi, più semplici, meno impegnative. Ricordano più le ali di un grande uccello o, come dicono altri, la stilizzazione di una barca.

 

Calarighe 2
Calarighe 2

 

“Ora possiamo procedere, se avete ancora tempo voglio farvi vedere un altro costone trasformato in necropoli. Però dobbiamo fare un po’ di strada a piedi, fra macchia e campi. ”

“Certo, il pranzo domenicale aspetterà, avvisate mia moglie, ah ah!”, scherzo.

“Ah, a casa mia mangiano, tanto lo sanno, quando sono in campagna non mi aspettano, tutti liberi, quando arrivo mangiano.” Peppino ha preso le giuste misure.

Attraversiamo un meraviglioso campo spietrato, totalmente verde-erba, pascolato dal gregge di pecore, ampio decine di ettari. Due maremmani ci individuano, abbaiano e ci affrontano.

“Non dargli importanza. Schiena dritta e sguardo alto, devi fargli capire che non li temi e vedrai che non si avvicinano”.

Procediamo. Saliamo su un costone roccioso e lo percorriamo nel senso longitudinale. Di fronte a noi una valle e di fronte un tacco ampio e lungo. Chiedo quali siano i toponimi di ciò che vedo. Siamo a S’Ena Cuada, di fronte a noi “Frissoni”. Sulla destra, verso sud Monteleone Rocca Doria e ancora a ovest Monte Minerva.

“La prossima volta vi porto a veder le Domus di Monte Minerva, una cosa di una suggestione incredibile” ci propone Peppino.

 

 

Dalla valle sale un urlo tipico: “E chie sese, E allora!” . Vediamo un uomo salire dalla valle verso di noi, con passo spedito, armato di roncola. Pensiamo si tratti del proprietario dei terreni che vedendo degli estranei sul suo voglia verificarne le intenzioni e le ragioni.

“Salute! Semus chircande sas Domus de JAnas”. Risponde Peppino quando l’uomo è a distanza di dialogo.

“E ite Domus de Janas?”

” Beni cun mie ca ti l’acu bidere! Ma deo ti connosco a tie.”

“E chie sese? Non mi parete.” risponde il nostro ospite, dubbioso.

“Eus mandicatu in paris, in Villanova. In su tancau de … …”

“E certu, commo ca ti biu menzus m’ ind’ ammento”.

A posto, strette di mano e presentazioni, individuazione di luoghi, tempi e relazioni comuni. Funziona così. Squilla il telefono del nuovo amico. Ci raggiunge un secondo ospite. Anche lui armato di “gavuna”.

Conosce bene Peppino si abbracciano. Ci accompagnano alla ricerca delle domus de janas. Sono entrambi settantenni ma saltano da una roccia all’altra, per non smentire la Sardegna rurale dei centenari sempre in forma.

 

Entro nella Domus de Janas di S’Ena Cuada, la più bella ma non l’unica. Si tratta di due celle con delle nicchie laterali. All’interno il soffitto è scolpito per la rappresentazione del tetto in travi della capanna; due pilastri furono lasciati a sostenere i vuoto nell’ammasso roccioso. Uno dei pilastri è spezzato nella parte inferiore. Peppino accende la lampada. Al suolo resta un fondo di biada. La tomba è usata per il ricovero degli animali o di chissà chi. Lo stile è identico alle domus de janas di Abealzu, Calancoi, dell’area sopra Sassari, verso Osilo, giusto per portare un esempio.

 

Dentro la Domus de Janas di S’Ena Cuada
Dentro la Domus de Janas di S’Ena Cuada
Dentro la Domus de Janas di S’Ena Cuada

 

L’escursione è terminata. Siamo più che paghi. Ritorniamo a Ittiri, ringraziamo la nostra guida, ci rendiamo desiderosi di poter ricambiare e disponibili a ricambiare l’ospitalità al Capo di Sotto.

Peppino ci invita per una prossima escursione. Non mancheremo.