Lo registrino ora i libri di testo: PRIMA CIVILTÀ IN ITALIA È LA CIVILTÀ SARDA

Mappa prodotta da Valeria Putzu, riportante i reperti di origine sarda ritrovati al di fuori della Sardegna

di Francesco Masia

Nel Mediterraneo, quando a Oriente brillava la Civiltà Cretese (dei Minoici, 2.700-1.400 a.C.), a Occidente splendeva la Civiltà Sarda (degli Shardana), la più antica civiltà italiana, che ha lasciato una densità di testimonianze archeologiche senza paragone in nessuna parte del mondo.

La frase che avete appena letto è, sostanzialmente, l’incipit e soprattutto (a mio avviso) la conclusione, il “take home message” (informazione da portare a casa, da trattenere), della tanto discussa puntata di “Sapiens – Un solo pianeta”, di Mario Tozzi, andata in onda su RAI 3 Sabato 14 Novembre, intitolata “La vera storia dell’isola di Atlante”, esplicitamente dedicata alla Sardegna; puntata dalla quale riprendo il testo per svolgere in questo articolo un’analisi sul tema (chi giudichi antistorico parlare di “civiltà italiana”, potrà sempre tradurre in “la più antica civiltà nel territorio dell’odierno Stato italiano”).

Per la verità nell’originale Tozzi dice che a Occidente, prima dei Greci, c’erano anche i Fenici, le cui città stato si trovano però, com’è ovvio, più a Oriente di Creta. Si potrebbe correggere in “a Occidente si spingevano i Fenici”, se non che parlare di Fenici al tempo della Civiltà Minoica si presenta comunque sbagliato, radicalmente, perché le genti di quelle lande allora si chiamavano Cananei. Non è semplice stabilire se e quanto la composizione dei Cananei cambiò dal 1.200 a.C. in avanti, quando per convenzione iniziamo a considerarli Fenici; sappiamo però che ad allora non dovrebbero aver praticato la navigazione d’altura, per cui non avrebbero dovuto spingersi granché a Occidente di Creta. Inoltre colpisce che nel passare dai Minoici (e i Sardi e i Fenici) ai Greci, Tozzi sembri almeno sorvolare sui Micenei (1.600-1.100 a.C.); qui però non è il caso di infilarsi nel tema dei compartimenti alle origini della Civiltà Greca, perché la parte della frase che ci interessa è naturalmente quella sulla Civiltà Sarda (degli Shardana). Quanto alla congruità del termine Civiltà, rilevo che la Civiltà Nuragica è compresa nell’Elenco delle Civiltà “secondo Toynbee e Huntington” (a quanto riportato nella voce Civiltà di Wikipedia); non saprei dire a quando risalga questa inclusione (Samuel Phillips Huntington è deceduto nel 2008, 33 anni dopo Arnold Joseph Toynbee), ma credo di potermi limitare, qui, a prenderne atto. Pure quanto all’identificazione con gli Shardana, che so bene non essere proprio pacifica, mi limito a prendere atto di come Tozzi la consideri acquisita (è noto comunque come quest’identificazione, sostenuta in primis, nell’ambito accademico, dal Prof. Giovanni Ugas, sia condivisa da non pochi archeologi sulla scena internazionale).

Il discorso di Tozzi procede tratteggiando l’antichità della Civiltà Sarda, quindi le sue radici (“ancora poco studiate”) nel prenuragico: tesori come, per esempio, le Mura di Monte Baranta (2.400 a.C., 1.000 anni prima delle mura di Tirinto citate da Omero), l’Altare Megalitico di Monte d’Accoddi (2.400 a.C., unica costruzione a “ziqqurat mesopotamica” nel Mediterraneo; con ai piedi un omphalos, simbolo del centro del mondo), i 200 menhir di Biru ’e Concas (3.300 a.C., una Stonehenge sarda più antica di quella inglese), la figura di toro sacro senza testa di Sant’Andrea Priu (3.500 a.C.) e le Domus de Janas (oltre 2.400 in tutta l’isola, di cui 250 dipinte), dal 3.400 a.C., quando la prima dinastia nell’antico Egitto data dal 3.150 a.C. (e le tombe nella Valle dei Re dal 1552 a.C.), mentre le prime culture prenuragiche datano addirittura dal VI millennio a.C.; perciò, a quanto sembra, da ben prima degli albori della civiltà egizia (al punto che diventa lecito sostenere fosse stata più influente la Sardegna nei primi rapporti reciproci).

“Civiltà” già in antico, quella sarda, non solo per le architetture, ma anche per l’importante commercio dell’ossidiana del Monte Arci verso tutto il Mediterraneo Occidentale, fin dal V-IV millennio a.C. (dove commercio, naturalmente, significa navigazione). Dal Nuragico (II millennio a.C.) si realizza anche il commercio dei metalli, per tutto il Mediterraneo. L’isola era ricca di ogni metallo, compresi lo zinco e il rame (dalla cui lega l’oricalco) e il piombo argentifero.

La Sardegna antica (continua Tozzi) diviene nel Nuragico l’isola dei costruttori di torri, di fatto (come dice Sergio Frau) una “città galleggiante”: le torri e i castelli articolati (i nuraghi monotorre e i polilobati) erano forse 20.000, costruiti con pietre scelte per la loro qualità in funzione della posizione nella costruzione, trasportate per questo, nonostante il peso, talvolta attraverso molti chilometri. La loro funzione è dibattuta e forse cambiò nel tempo: gli antemurali possono far pensare a scopi difensivi; le alte torri, a vista una con l’altra, alla sorveglianza del territorio (sul patrimonio agro-pastorale e, in certe zone, sul patrimonio minerario); l’imponenza può far pensare alla ricerca dell’impatto simbolico come segno di potere (forse residenza della famiglia del capo). Eppure certe caratteristiche sacre sono messe in luce in tanti nuraghi: se tutti questi avessero avuto anche una funzione sacra, tutta la Sardegna sarebbe stata un’isola sacra (un po’ come Malta, dal 3.550 a.C.).

Dopo i secoli nei quali i nuraghi si eressero (fino al XII a.C.), essi parrebbero divenire simboli della splendida memoria di un tempo passato, che aveva prodotto anche i Pozzi Sacri (come quello di Santa Cristina, 1.100 a.C., costruito con sorprendente precisione geometrica, calendario solare o “nilometro”, mutuando il termine da quelli sul Nilo, per controllare il livello della falda acquifera) e le Tombe dei Giganti, sepolcri collettivi megalitici di grandi dimensioni (ancora oggi oltre 1.000 in tutta l’isola, con forme che può interpretarsi richiamino la dea madre e le corna del toro), al cui esterno la comunità si raccoglieva per celebrare funzioni.

A Nora, dove i Fenici si attestarono tra l’VIII e il VI secolo, la stele (appunto chiamata) di Nora presenta un testo in alfabeto fenicio che ha ricevuto a oggi tante contrastanti interpretazioni; stele che comunque riporta (tra le altre) almeno due parole sufficientemente chiare: SRDN, che fa pensare alla Sardegna e agli Shardana (il nome con cui gli stessi Sardi potrebbero essere stati chiamati nel tempo); e TRSS, che fa pensare a Tartesso, il mitico emporio di tutte le merci, il posto dell’argento, il luogo di Giona e del mostro marino, un luogo dove nel tempo sono stati inseriti tanti elementi mitici, che si dovrebbe trovare al di là delle colonne d’Ercole. Per questo Tartesso è stata cercata per oltre un secolo nella Spagna atlantica, oltre lo stretto di Gibilterra; ma lì non è mai stata trovata. Potrebbe allora trovarsi… più vicina alla stele di Nora?

Fino al III secolo a.C. le mappe del mondo conosciuto diffuse tra i popoli del Mediterraneo (grossomodo) orientale e centrale vedevano il loro limite a Est nel Caucaso (sede, per il mito, del Titano Prometeo) e a Ovest nelle colonne d’Ercole (sede del Titano fratello di Prometeo, Atlante). Oggi possiamo ricostruire che nel III secolo a.C. Eratostene di Cirene (276-194 a.C.; quindi dopo Platone, 427-347 a.C.), registrata l’aggiunta delle conquiste orientali di Alessandro Magno (pure successivo a Platone, 356-323 a.C.) sino al fiume Indo (327 a.C.), ha ridisegnato la mappa del mondo conosciuto, superando a Est il Caucaso e spostando a Ovest le colonne d’Ercole, per simmetria, dal canale di Sicilia allo stretto di Gibilterra. Questo è quanto ha proposto con forza Sergio Frau, trovando l’avallo tra gli altri (questi gli autori intervenuti nella trasmissione di Tozzi) del geografo Franco Farinelli e dell’archeologo Andrea Carandini.

Dichiara Farinelli (già presidente dell’Associazione Geografi Italiani): “il testo di Frau, ricostruendo tutte le fonti storiche che parlano della collocazione delle colonne d’Ercole (qualcosa che nessuno aveva mai fatto), mi spiega qualcosa che ho sempre intuito, ma che non riuscivo ad afferrare; Sergio Frau mostra con un esempio straordinario come funziona una carta geografica, lo straordinario meccanismo della simmetria, la logica incorporata nella mappa stessa”.

E Carandini (già presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, tutt’ora presidente del Fondo per l’Ambiente Italiano): “tutto questo, a cui nessuno veramente aveva pensato, è parso a noi archeologi come qualcosa di molto logico e di molto verosimile”.

Aggiungerei questa osservazione: uno scetticismo analogo a quello espresso da molti quanto alle prime colonne al canale di Sicilia (oltre le quali, viene detto, gli antichi popoli del Mediterraneo orientale  dovevano in realtà essersi già spinti) non viene mai rivolto al Caucaso quale limite orientale del mondo conosciuto, che pure non doveva nascondere così bene vi fossero ancora territori  alle sue spalle. Più che limiti del “mondo conosciuto” dovremmo perciò intenderli come limiti del mondo “meglio noto, relativamente affidabile e sicuro”.

Comunque questa geografia doveva comportare che la Sardegna per gli antichi, o meglio per quanti vissero tra all’incirca l’VIII e il III secolo a.C., fosse al di là delle colonne d’Ercole; e dunque che, tra i molti miti dell’antichità, alcune delle storie ambientate oltre le colonne d’Ercole avrebbero potuto quantomeno ispirarsi anche a quello che della Sardegna, più o meno fedelmente, si poteva allora testimoniare.

 

Fin qui Tozzi merita, da parte nostra, solo ringraziamenti ed elogi. Ha sì montato la puntata infilandoci un film (interessante e di certo pertinente con le ipotesi circa Atlantide) sull’eruzione del vulcano Thera nell’isola egea di Santorini (1.620 a.C., in piena Civiltà Minoica); ma ha soprattutto divulgato sulla Sardegna nozioni correntemente eluse nella comunicazione italiana e ancora colpevolmente misconosciute da molti tra gli stessi sardi. Col metterle insieme e col divulgare l’originale posizione delle colonne d’Ercole (ante Eratostene, III secolo a.C.), la trasmissione ha dato il giusto risalto (come da take home message) all’antica Civiltà Sarda, fino a rimetterla al suo posto nella “geostoria” antica.

Fedelmente al suo titolo, però, la puntata è andata oltre, affrontando  l’accostamento al mito di Atlantide; un terreno inevitabilmente scivoloso, che può ottenere di distrarre dal merito storico (com’è normale quando si voglia dimostrare la verità di racconti già antichi per chi li raccolse, col rischio di spingersi oltre quello che semplicemente poté ispirarli).

Per dare un’idea (a chi ne avesse bisogno) di quale sia la profondità della storia entro cui si prova a far luce, sarà utile dire che oltre il cosiddetto “collasso dell’Età del Bronzo” (crollo di diverse civiltà mediterranee e vicino-orientali sul finire dell’età del bronzo, ca. 1.200 a.C.) e a seguito del conseguente “Medioevo ellenico” (anche detto “dark age”, età oscura, che si prolunga fino alla nascita delle città-stato greche e all’età di Omero, circa nell’VIII sec. a.C.), le civiltà che dovettero riprendere le fila del percorso storico ad allora compiuto si trovarono ad annaspare nella sostanziale assenza di fonti attendibili tra quelle che potevano raccogliere e interpretare. Significativo che proprio nell’VIII sec. a.C. Esiodo si trovi a imbastire, nel mito delle 5 Età (in Le opere e i giorni), una storia dell’uomo secondo la quale la stirpe umana sua contemporanea, stirpe del ferro, era la quinta tra quelle succedutesi ad allora sulla Terra:

la prima, stirpe dell’oro, visse durante il regno di Crono, quando la natura era amica dei mortali e questi vivevano, diremmo oggi, in una specie di giardino dell’Eden, finché Zeus li sterminò con un diluvio;

la seconda stirpe, dell’argento, peggiore della precedente, mancava di spirito religioso e di intraprendenza, era dominata dalla cattiva influenza delle donne ed era soggetta alla fatica e alle malattie, ma godette un periodo pacifico, in ciò migliore di quelli che sarebbero venuti;

la terza stirpe, del bronzo, a sua volta peggiore della precedente, cominciò a portare armi (di bronzo) e a far guerra per ogni dove;

la quarta stirpe, degli eroi, vide gli Achei condurre grandi imprese, quali le conquiste del vello d’oro nella Colchide e della città di Troia;

ma anche l’età degli eroi giunse a una fine, e venne così l’età del ferro, quando delle età trascorse non restò che un flebile ricordo, poiché di volta in volta ogni stirpe era decaduta rispetto a quella che l’aveva preceduta.

 

Quanto alle storie ambientate nell’antichità oltre le colonne d’Ercole, una (non è detto la più attendibile) riguarda appunto il racconto di Platone sull’isola di Atlante: un’isola “antica per gli antichi” (abbiamo visto come la Sardegna possa ben dirsi tale) e “grande” (la Sardegna, avendo più chilometri di coste della Sicilia –e con un lato in più della Trinacria, in quanto grossomodo rettangolare–, doveva sembrare in antichità l’isola più grande nel Mediterraneo), con abbondanza di foreste e di acque calde e fredde, clima eccezionalmente mite (con tre raccolti all’anno), ricchezza straordinaria di metalli (zinco, rame…) e in particolare di argento (nel Mediterraneo soltanto la Sardegna ha una tale ricchezza di questi minerali). E ancora: nell’isola di Atlante vivevano i Tirreni, costruttori di torri, che governavano con la loro flotta su tutto il mare e con l’esercito su tutte le pianure.

È davvero molto, perciò, quel che sembra accomunare quanto sappiamo sulla Sardegna e quanto si è scritto sull’isola di Atlante. Platone riporta (se non “inventa”): “sono 9.000 anni che si dà per avvenuta la guerra tra quelli che abitavano fuori dalle colonne d’Ercole e quelli di dentro” (Atlantidei e Ateniesi); 9.000 anni, si intenderà (forse), prima della morte di Crizia (avvenuta nel 403 a.C). Si parlerà più probabilmente di “anni lunari” (ossia cicli lunari), cioè di 9.000 mesi e quindi di 750 anni solari, quelli che dalla morte di Crizia porterebbero intorno al 1.153 a.C. (lettura che sembra credibile; è un fatto che prima del III millennio a.C. Atene di sicuro non esisteva; e che i 969 “anni” di Matusalemme, il biblico patriarca antidiluviano figlio di Enoch, a considerarli 969 mesi lo avrebbero visto superare la soglia degli 80 anni, età ragionevolmente veneranda per l’epoca). Quella guerra si sarebbe conclusa per la sopravvenuta distruzione dell’isola di Atlante, in un giorno e una notte, a causa di una catastrofe che l’avrebbe fatta finire sotto il fango.

E, ci si chiede, in Sardegna? Potrebbero trovarsi segni compatibili con un qualche evento naturale a carattere catastrofico intorno a quel periodo?

Qui Frau (con Tozzi) invita a interrogarsi: come avrebbero potuto i Fenici soppiantare (?) una Civiltà Sarda così antica, solida e potente, senza nemmeno battaglie (che sappiamo non si sono combattute, non prima che contro i Cartaginesi)? A un certo punto (direbbe Tozzi; o meglio “dice”, all’indicativo) questa civiltà grandiosa scompare quasi di colpo (?), abbandonando le terre ora infestate dalla malaria e dal fango (?): in parte si ritira nelle zone più interne (anche per resistere alle invasioni che arriveranno) e in parte emigra.

Ciò che avrebbe indebolito questa Civiltà dovrebbe essere stato, secondo Frau (con Tozzi), un megatsunami proveniente dal golfo di Cagliari (magari con la concomitanza di un altro proveniente dal Sinis). I suddetti Farinelli e Carandini non sono stati interpellati e quindi non si sono pronunciati sull’ipotesi Atlantide e tsunami; mentre l’unico specialista intervistato nella trasmissione su questo punto, il Geofisico Stefano Tinti, non ha potuto esimersi dal bocciare l’ipotesi. Queste le parole di Tinti: “le onde dall’eruzione (con terremoto) di Thera (Santorini) rivoltesi contro la parte settentrionale di Creta, la parte orientale della Turchia e le isole dell’Egeo, hanno causato depositi di maremoto che sono stati trovati; così per un maremoto di 9.000 anni fa contro le Baleari. Quanto però a un maremoto che possa aver abbattuto i nuraghi del Campidano: cause sismiche, vulcani e frane devono essere esclusi; così come può escludersi, per le conformazioni morfologiche della zona, anche un asteroide che fosse caduto nel golfo di Cagliari”.

Il responso di Tinti sembrerebbe senza appello, non poteva essere più drastico nei confronti di un collega che sapeva aver abbracciato quella tesi e che lo intervistava per la propria trasmissione. Ma Tozzi (oltre ad aver sapientemente montato domanda e risposta, così che la prima risulti più “coinvolgente” della seconda) ancora si appella a ulteriori e approfondite ricerche, spingendo su dettagli quali  “diverse decine di metri di sedimento levati un po’ dappertutto” negli scavi di nuraghi (?), come per il Genna Maria di Villanovaforru e per la vicina Reggia di Barumini (qui “più di 14 metri di sedimento”; forse si confonderà, con più o meno innocenza, l’altezza delle rovine con lo spessore dei sedimenti).

Del resto, consente Tozzi, se qualcosa di catastrofico fosse avvenuto sarebbe lecito chiedersi come mai dopo un evento simile si sarebbero comunque prodotti i Giganti di Mont’e Prama, ritenuti l’acme della Civiltà Nuragica. SI potrebbe però ammettere (propone Tozzi) che queste opere, come i bronzetti, non sarebbero coincise in realtà con l’acme di quella Civiltà, ma sarebbero state un prodotto dei tardo-nuragici che, attraverso queste produzioni plastiche, avrebbero voluto ricordare il loro ormai trascorso periodo d’oro.

 

L’impressione di chi scrive è anzitutto (in pieno accordo con i succitati Proff. Farinelli e Carandini) che la ricollocazione delle colonne d’Ercole allo Stretto di Sicilia sia un grande risultato del lavoro di Frau per la comprensione della storia antica del Mediterraneo (e, in particolare, della Sardegna).

Circa invece il voler cercare in Sardegna gli effetti di un evento naturale a carattere catastrofico, la fedeltà su questo punto con il mito di Atlantide non dovrebbe giudicarsi (è sempre il pensiero di chi scrive) tanto importante. I miti possono ben avere almeno parti assolutamente fantasiose, allegoriche, che facilmente sono andate nel tempo a integrarsi con il probabile sottofondo di verità (più o meno esteso) alla loro base; o possono avere parti desunte da storie diverse che confluiscono a crearne una nuova, composita. Quando il racconto è interessante viene diffuso e trasmesso, ma ogni volta che viene di nuovo narrato (soprattutto fintanto che non sia cristallizzato in un testo) può arricchirsi di dettagli spettacolari, specie quanto al finale. Si pensi a tutti i remake dei film che negli ultimi anni possiamo confrontare con gli originali. Per dire solo di un titolo (che in realtà non è un remake), in “C’era una volta a… Hollywood” la storia è sostanzialmente vera, il finale tutt’altro.

Oggi, comunque, nessuno in Sardegna sosterrebbe che possano esservi tracce di tsunami sui nuraghi pure sepolti (riprendiamo a questo proposito l’interrogativo di qualche sensibile anticolonialista: è un segno rivelatore che nella trasmissione TV non si sia data la parola a nessuno studioso sardo?); e sempre di meno, in Sardegna, sarebbero disposti a sostenere che i Fenici abbiano “soppiantato” i Sardi, che quindi non si immaginano alle prese, allora, con il fango e con la malaria (malaria che anzi sarebbe arrivata solo con i Cartaginesi).

Vediamo, d’altronde, come ci sarebbe giunta la storia dell’isola di Atlante. In uno dei suoi Dialoghi (Timeo, 360 a.C.; con sèguito nell’incompiuto Crizia), Platone riferisce di un simposio che sarebbe avvenuto almeno 43 anni prima, in cui Crizia (morto appunto nel 403 a.C., 4 anni prima di Socrate) avrebbe riportato il racconto sull’Atene che 9.000 anni prima (forse, abbiamo detto, 9.000 mesi prima) si oppose all’espansionismo di Atlantide; racconto appreso dal nonno (“Crizia il vecchio”), che a sua volta lo ascoltò dal padre Dropide, il quale lo potè raccogliere dal fratello Solone (638-558 a.C., quando le colonne sarebbero state allo stretto di Sicilia); questi davvero soggiornò in Egitto, dove ebbe realmente rapporti con sacerdoti tra i più sapienti, dai quali appunto avrebbe acquisito la storia di Atlantide (una civiltà a Occidente con cui la più antica Atene dovette confrontarsi). Una storia, quindi, che sarebbe arrivata alle orecchie di Solone dopo circa 600 anni e a quelle di Platone dopo altri quasi 150; e che Platone si decise a scrivere ancora dopo ulteriori circa 40 anni (quando lo stesso Crizia non poteva più confermare), perciò a quasi 8 secoli dal suo epilogo. Perlomeno curioso, comunque, che di Solone possa leggersi come visse in pace i suoi ultimi anni attendendo, forse, alla grande opera sulla leggenda di Atlantide che aveva udito in Egitto, da cui desistette per la vecchiaia (così riferirebbe Plutarco ne Le vite parallele; ma Plutarco, vissuto tra I e II secolo d.C., scriveva ancor più lontano negli anni da Solone, quando perciò poteva essere largamente influenzato proprio dai Dialoghi di Platone). Osservazione personale: credo che se Platone avesse davvero voluto trasmettere sincerità quanto al grado di veridicità di questo racconto (per come lui lo avvertiva o lo conosceva) avrebbe scritto, più o meno: “non posso dirvi se sia vero, non posso davvero verificarlo; so solo che lo dava per vero chi lo raccontava”. Il suo ribadire, invece, che tutto sarebbe proprio vero (quando pure ci racconta in quale modo gli sarebbe giunto), può sembrare un ammiccamento perché noi si mangi la foglia.

¿Ma ci sono, poi, fonti storiche su una possibile isola di Atlante e sulla sua sorte, che precedano il racconto di Platone? Se questa storia fosse stata davvero conosciuta dagli Egizi (erano egizi i sacerdoti che l’avrebbero trasmessa a Solone), questi non ne avrebbero dovuto scrivere prima? Su questo punto Tozzi (sulla scorta, naturalmente, degli studi di Frau) chiama in causa un elemento cui avrebbe forse potuto dare più risalto nella sua narrazione: ci dice che Ramses III, Faraone d’Egitto intorno al 1.200 a.C., fa scrivere sulle mura di Medinet-Habu che “gli stranieri del Nord, dalle loro isole” (i Popoli del Mare, gli Shardana dalla Sardegna?) “si preparavano all’assalto” (contro gli Egizi) “quando l’Oceano” (il Nun) “uscì dal suo letto, seppellendo tutto.” Lo scontro è del 1.178 a.C.; le migrazioni in Egitto (accenna Tozzi) sono del 1.175 a.C..

Qui la materia diventa sempre più incerta, perché Tozzi sembrerebbe suggerire che gli Shardana, i Sardi, giunsero a spostarsi in Egitto, armi e bagagli (e famiglie), fuggendo alla desolazione nella loro terra, provenendo (rispetto all’Egitto) da Occidente; mentre queste “migrazioni” (rappresentate a Medinet-Habu), stando ai testi vicini ai fatti, sarebbero da Oriente verso Occidente (Filistei dalla Palestina verso l’Egitto).

Perciò resta ancora molto incerto quale territorio intorno al 1.178 a.C. sarebbe stato (eventualmente)  “seppellito dall’Oceano”. Così come resta incerto quali cause portarono, da quel periodo e per circa un paio di secoli, alla sostanziale stasi o involuzione demografica e delle opere dell’uomo in larga parte del Mediterraneo (orientale come occidentale), ma anche dell’Europa Atlantica, come sarebbe sostenuto da diversi studi (si veda la voce “Collasso dell’Età del Bronzo” su Wikipedia: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Collasso_dell%27Et%C3%A0_del_Bronzo).

Interessanti letture, ancora, portano ad ampliare utilmente la prospettiva storiografica e gli orizzonti interpretativi, così da suggerire di prendere perlomeno con (anche) molta cautela le tesi secondo cui sarebbe anzitutto la Sardegna al centro di quasi tutti i miti classici: annoto (dimenticherò qualcosa) che abbiamo già variamente proposto di intestarci, oltre Tartesso e l’isola di Atlante, il giardino delle Esperidi, le isole dei Beati, i campi Elisi e l’Ade, l’isola Scheria (dei Feaci), il luogo della caduta del carro di Fetonte e (con tutti i siti e le genti nominati nell’Ora Maritima di Avieno) Ofiussa, ipotizzandola in aggiunta la misteriosa Ofir dell’antico testamento; ma talora si ragiona pure, guardando all’Egitto, sulle primordiali isole Honebu e sui sei Faraoni Hyksos della XV dinastia (1.650-1.550 a.C.). Per dire: sembra verosimile che proprio la Sardegna possa essere stata dietro a qualcosa di tutto questo, ma non sarà stata dietro a proprio tutto questo. Attenzione, quindi, a non considerarsi, in nome del diritto alla mitografia, la sede autentica di storie che pure altri territori potrebbero ascriversi con pari legittimità.

Per Federico Bardanzellu, autore non certo ostile alla Sardegna (http://www.inliberta.it/colonne-di-ercole-alcune-recenti-ipotesi-le-localizzano-nel-canale-di-sicilia/), Platone imbastisce su Atlantide un racconto fantastico, mettendo insieme notizie di seconda e terza mano relative ad avvenimenti e vicende differenti (l’eruzione di Santorini, l’invasione dell’Egitto da parte dei Popoli del Mare e, forse, quella della Grecia da parte dei Dori). Eppure condivide (Bardanzellu) che i templi dedicati a Melqart (l’Ercole fenicio), con le loro colonne, sarebbero stati via via il segno del confine raggiunto a Occidente. Così a Mozia, colonia fenicia di Tiro su un’isoletta assai prossima alla costa siciliana (tra Marsala a Sud e Trapani a Nord), un tempio a Melquart con le sue colonne avrebbe rappresentato questo confine; e l’Erizia oltre le colonne poteva essere Erice (a Nord di Trapani); l’isola di Gadhira (in semitico “stagno”) adiacente a Erizia poteva essere l’isola di Stagnone, posta di fronte a Mozia; mentre le tre isole originate dal mostro Gerione ucciso da Ercole potevano essere le tre isole maggiori delle Egadi (Favignana, Lèvanzo e Marettimo).

Alfonso Stiglitz, del resto (https://ojs.unica.it/index.php/medea/article/view/3009/2673), ci spiega come fin già dal 1.700 (d.C.) ci fosse chi identificava le colonne con i templi di Ercole/Eracle/Melqart; e ci fosse, quindi, chi teorizzava la Sardegna almeno come parte di un’originale (più estesa) Isola di Atlante.

La voce di Wikipedia sulle Colonne d’Ercole accoglie integralmente questa interpretazione: “Più che un luogo geografico, il monito posto dal mitologico Ercole identifica la frontiera del mondo civilizzato e, come tale, non può fare altro che seguire il progredire delle scoperte geografiche e l’avanzare delle rotte navali.” Quindi entra nella complessità del tema (Wikipedia) dicendo che Omero collocava le colonne a Est, all’ingresso del Ponto Eleusino (Mar Nero, un altro “Oceano”), dove secondo il mito greco aveva casa Gerione; e annoverando che Erodoto (484-425 a.C.) parla di colonne al Bosforo e di colonne oltre Cartagine (Libiche).  Solo con la nascita del mondo romano, quindi, Ercole raggiunge quello stesso Gerione (già di casa, abbiamo detto, sul Mar Nero) che diviene allora Re di Tartesso; la Tartesso che trova quindi la sua definitiva collocazione oltre Gibilterra; quella Tartesso che per i Greci doveva essere, più che uno Stato, il confine del mondo a Occidente.

Infine, un’altra cosa che Tozzi ha mostrato, senza poi svilupparla affatto quanto alle possibili antiche vicende sarde, è l’evento di Tunguska (Siberia sud-orientale, 1908: importante ed esteso episodio distruttivo causato, si ritiene, dall’esplosione in atmosfera sul continente di un meteorite od oggetto celeste non identificato). Perciò, se proprio (ma non a tutti i costi) si vogliono cercare elementi per verificare gli eventuali rapporti tra mito e storia, a un profano verrebbe da chiedere (anche a proposito del carro di Fetonte): giacché nella Sardegna dell’età del Bronzo non si trovano tracce geologiche di maremoti, quali potrebbero essere oggi le tracce (geologiche, archeologiche, paleobotaniche, …) lasciate da un evento tipo Tunguska nel XII secolo a.C. (magari tra eventi disseminati nel Mediterraneo, come da una scia di meteoriti o coda di cometa)? Se però chi ha voluto suggerire l’argomento e poi non lo sviluppa è proprio un geologo, il profano dovrebbe pensare che questa pista abbia ancor meno da offrire (è un fatto che almeno la suddetta voce di Wikipedia sul Collasso dell’Età del Bronzo non prende in considerazione nessuna ipotesi su esplosioni in atmosfera di meteoriti). E sarà così.

 

Ma la morale resta che è soprattutto tra le stirpi precedenti quella del Ferro, per dirla con Esiodo, che la Civiltà Sarda ha preso parte alla Storia in un modo che oggi, grazie ai bagagli sempre più avanzati di tutte le discipline, potremo capire sempre meglio e già abbiamo il dovere di trasmettere per come via via si delinea.

Perciò è doveroso, già adesso, si trasmetta anche sui libri di testo, non solo nei tinelli tra “appassionati”, che la Civiltà Sarda, certamente tra le più antiche di tutto il Mediterraneo, è stata perlomeno (come ha ben detto Tozzi, al di là dei miti) la prima civiltà d’Italia.

E il quadro che di essa si va ricostruendo deve condurre a correggere l’inizio del più comune racconto storico che la riguarda, circa quello che “i popoli muniti di scrittura” vi trovarono e vi portarono  (senza voler entrare, qui, nel lungo discorso sulla scrittura in Sardegna) e circa i rapporti e l’influenza soprattutto documentati (a oggi) con la vasta area etrusca, a segnare una continuità per la quale la Civiltà Sarda ben merita di non essere più vista come semplicemente obliterata (addirittura nella stessa Sardegna) dalla misteriosa dark age mediterranea.