Sardegna, Isola Sacra o Fort Alamo?

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di Giorgio Valdès Augusto Mulas è un archeologo sardo d’indirizzo preistorico e protostorico, autore del libro “L’Isola Sacra”, edito nel 2012, in cui egli tratta l’ipotesi di un utilizzo cultuale dei nuraghi, argomentando piuttosto dettagliatamente la sua tesi, così riassunta sul retro della copertina: “Possiamo ancora parlare dei nuraghi come roccaforti erette dalle bellicose popolazioni della Sardegna preistorica? Oppure è giunto il momento di dare un’interpretazione diversa dell’utilizzo cui erano destinate queste costruzioni megalitiche? L’enorme quantità di informazioni e di dati scaturiti negli ultimi decenni da ricerche archeologiche sempre più puntuali, condotte per la gran parte da addetti ai lavori, ma anche da validi ricercatori indipendenti, hanno prodotto una profonda lacerazione nel paradigma che definisce il nuraghe come una ‘fortezza’. La sempre più frequente restituzione di contesti cultuali dall’interno e dall’esterno della struttura nuraghe hanno indirizzato l’Autore verso l’analisi sistematica di tali risultati, inducendolo alla conclusione che il motivo fondante che spinse l’uomo nuragico a progettare e innalzare migliaia di strutture in tutta l’isola vada ricercato nell’ambito del sacro. Ne scaturisce un’ipotesi di utilizzo più orientata verso la sfera religiosa, cultuale e rituale anziché militare….”. Una teoria analoga era stata a suo tempo avanzata addirittura da Alberto Ferrero della Marmora (1789-1863), il quale ipotizzava che “il Nur-hag fosse un monumento per il culto della tribù che avrebbe avuto le sue tombe nel recinto sacro vicino all’edificio, su cui si sarebbero svolte le cerimonie religiose alle quali in certo modo avrebbero assistito i resti, o per meglio dire i mani di coloro che non erano più”, osservando tra l’altro che “salvo qualche punta di freccia, non si son trovate nei Nur-hag né armature né armi che rivelassero la tomba di qualche guerriero, tanto più che le tombe dei giganti e le grotte scavate nella roccia ne contengono sovente. Gli oggetti trovati negli scavi di Nur-hags annunziano occupazioni pacifiche, sono collane, bracialetti e altri ornamenti, ma soprattutto idoli”. Per ritornare a tempi più recenti e come ricorda nei suoi scritti Paolo Valente Poddighe, Camillo Cinalli, Accademico per le scienze e le arti, in “Cultura Nuragica”, articolo a sua firma apparso negli anni settanta sul mensile “Frontiera”, scriveva: “ Il mondo nuragico era altamente civile e deve avere avuto una grande influenza sui popoli venuti alla ribalta della storia, nell’ambito dell’area mediterranea. L’ipotesi che la Sardegna fosse l’Isola Sacra dell’antichità, trova riscontro in più direzioni di indagine e si connette con altre interessanti ipotesi di storia della scienza ”. Vorrei aggiungere che il quadro d’insieme che appare sulla mappa dinamica geo-referenziata inserita nel sito della Fondazione Nurnet (www.nurnet.it) offre ulteriori motivi di riflessione, perché la densità dei nuraghi e la loro reciproca contiguità anche in riferimento a porzioni piuttosto vaste di territorio, rende poco credibile l’ipotesi del nuraghe-fortezza. Che senso avrebbe avuto, difatti, la realizzazione di più strutture fortificate a presidio e luogo di raccolta, in caso d’attacco, della stessa tribù? O peggio ancora, come si può ragionevolmente ipotizzare che in un fazzoletto di terra fossero presenti svariate strutture nuragiche appartenenti a clan differenti in perenne lotta tra di loro? O infine, come osserva giustamente Augusto Mulas, come si sarebbe potuto materialmente erigere un nuraghe, che per la sua realizzazione richiedeva anni e anni di duro lavoro e impegno costante, in un’ipotetica situazione di perenne assedio? Mi rendo conto che l’argomento sia ancora decisamente controverso, ma è altrettanto vero che se i nuraghi avessero avuto prioritariamente un ruolo cultuale, tesi che personalmente condivido, il loro straordinario numero e la loro distribuzione lungo l’intero territorio rafforzerebbe l’ipotesi che individua la Sardegna come quell’isola “dei Beati alle soglie dell’Oceano dai vortici abissali” di cui parlava Esiodo o ancora la regione nel Bell’Occidente “dove i morti erano seppelliti per rinascere e raggiungere la vita eterna” (M.C.Betrò “Geroglifici”).

Nell’immagine: la concentrazione dei nuraghi in una porzione di territorio isolano (geoportale Nurnet) e il nuraghe Ola di Oniferi