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Piccolo betilo con viso antropomorfo
GRUTTA ‘E JANAS
Il nome di questa piccola grotta nascosta nel costone ai piedi di “Montargia”, il bastione calcareo che sovrasta la parte alta del centro abitato di Baunei (il rione chiamato “Bidda ’e Susu”, letteralmente “Paese di sopra”) ricalca pari pari l’appellativo di tante altre cavità dell’Isola che la tradizione popolare ha sempre circondato di un alone di mistero. Infatti, così come “Grutta ’e Janas” in sardo significa “grotta delle fate, delle streghe”, allo stesso modo le necropoli prenuragiche scavate nella roccia, presenti in tutte le zone della Sardegna, vengono chiamate “Domus de Janas” (“case delle fate, delle streghe”). Oggi per gli archeologi il mistero della funzione delle “Domus de Janas” è stato abbondantemente svelato, anche se rimangono ancora misteriosi alcuni aspetti dei rituali funerari e della religiosità prenuragica. “Grutta ’e Janas” è aperta al pubblico (è stato creato un sentiero di accesso, alla base della parete di “Montargia”) e merita di essere inserita in una guida storico – turistica per il suo particolare pavimento stalagmitico, leggermente inclinato, decorato con un motivo molto articolato e di incerta interpretazione. Si tratta di una raffigurazione costituita da un totale di 18 canalette poco profonde che si diramano da una conca principale profonda alcuni centimetri, per congiungersi a varie coppelle terminali disposte senza apparente criterio. Proprio per le caratteristiche peculiari del motivo scavato nel pavimento, la grotta è stata oggetto nel 2005 di una campagna di scavi archeologici condotta sotto la direzione dell’archeologa Maria Ausilia Fadda. In occasione di questo intervento la zona è stata recintata e nel cancello di ingresso al sito sono stati apposti alcuni cartelli esplicativi sulle caratteristiche più importanti di “Grutta ’e Janas”. I testi, firmati dalla Fadda spiegano che “la grotta si contraddistingue per la presenza di un’articolata raffigurazione incisa, riferibile al Neolitico finale (4000-3200 a.C.) usata probabilmente per riti propiziatori legati alla fertilità”. Incisioni simili sono state scoperte e studiate anche in Piemonte e Liguria, analogie che sempre secondo la Fadda “potrebbero confermare ulteriormente i forti legami dell’area continentale con la Sardegna, che esportava l’ossidiana dei ricchissimi giacimenti del Monte Arci fin nel sud della Francia. Questi contatti di carattere commerciale hanno fortemente influenzato la produzione di manufatti ceramici, come i vasi a bocca quadrata, molto simili a quelli di produzione ligure, e i vasi con superfici lavorate a stralucido, come quelli del Midi francese”.
60) NAVICELLA CON ANTROPOIDE (una scimmia)
Nome: “lampada con figurina di antropoide nel piattello e manico a protome bovina” – G. Lilliu
Dimensioni: lunghezza 13,2 cm – altezza 4 cm – larghezza 8,8 cm
Aspetto: la navicella (una lucerna, per Lilliu) ha la forma di una foglia cuoriforme con manico terminante con piccola testa bovina. Nella parte posteriore dell’orlo c’é un minuscolo rilievo a sella, forse la stilizzazione di un volatile o altro animale. Ma la cosa più strabiliante del reperto è la figurina situata nel cavo del recipiente. Sembra un antropoide, una scimmia (forse un macaco) rappresentata a carponi con tutte e quattro le zampe ricurve e poggiate sul fondo; ben visibili e dettagliate le mani e le dita. Ha la testa a capocchia, orecchie a sventola, occhi a globuletto, muso con bocca incisa.
Luogo di ritrovamento: Baunei, localitá sconosciuta
Residenza attuale: Museo Archeologico di Cagliari
Segni particolari: manca circa un terzo del piattello, rotto l’anello dell’appiccagnolo sulla figurina di antropoide.
Curiositá: per Lilliu, come detto, la navicella è una lucerna votiva e per quanto riguarda la figurina centrale propende per l’ipotesi di un tramutamento totale della forma umana in forma bestiale accettando quindi la definizione di lampada votiva con elemento ornamentale con significato magico-apotropaico.
Tuttavia… forse non del tutto convinto da questa sua scelta, Lilliu ci racconta che furono fatte dotte discussioni intorno a questo oggetto e che alcuni zoologi ipotizzarono anche un eventuale ambientamento in Sardegna in tempi remoti di una qualche varietá di scimmia mentre altri studiosi non esclusero la possibilitá che fosse una raffigurazione di quanto visto durante uno dei viaggi per mari lontani da parte di “Sardi nuragici in paesi esotici popolati di scimmie, donde avrebbero portato seco qualche grazioso esemplare”.
Cosa, questa, che era possibile fare … con un’imbarcazione ?
Fotografie di G. Exana
Descrizioni tratte da G.Lilliu, “Sculture della Sardegna nuragica”, 1966, ed. ILISSO
Uno dei nuraghi più suggestivi e più facilmente accessibili della piana di Golgo, è quello di “Coa ’e Serra” (che significa, grosso modo, situato “nella parte terminale del crinale della montagna”) che svetta in posizione dominante sulla vallata, a 511 metri di altitudine, nella porzione meridionale dell’altopiano. Arrivarci è molto semplice: si percorre la strada per Golgo fino al punto in cui un cartello in legno indica la svolta per il nuraghe “Coa ’e Serra”; da qui si percorre una strada sterrata per circa un chilometro e mezzo, sino a raggiungere uno piccolo spiazzo da cui si intravede, tra la vegetazione, il bianco torrione calcareo del nuraghe; ancora un centinaio di metri a piedi e si è nel cuore del complesso nuragico. Il nuraghe, che gli archeologi fanno risalire all’età del Bronzo Medio (1500 – 1300 a. C. circa); è composto da un nucleo centrale riferibile al tipo dei cosiddetti “nuraghi a corridoio”, più antichi e strutturalmente diversi da quelli “a tholos” (in quanto la copertura non è a falsa cupola ma piattabandata), nel quale si individuano due ambienti: di questi, uno è a pianta circolare, con un diametro di circa 7 metri, l’altro invece a pianta ovale, dal diametro di circa 8 metri, collegati tra loro tramite un corridoio “coperto a piattabanda” (termine tecnico con cui gli archeologi si riferiscono alle grandi lastre di roccia utilizzate per coprire i lunghi e stretti vani interni dei nuraghi a corridoio). Secondo gli studiosi, a questo primo impianto, considerato il più antico del complesso, furono aggiunti successivamente una torre a pianta circolare di tipo “a tholos” e un altro edificio molto particolare, unito al corpo centrale da un muro lungo oltre 12 metri. La particolarità di questo edificio, che presenta un ambiente interno di forma rettangolare (a cui si accede passando sotto un piccolo ingresso architravato) sta nella forma trapezoidale della pianta esterna. Questa particolare morfologia dell’edifico, che secondo gli archeologi era una sorta di piccolo tempio, fa del nuraghe di “Coa ’e Serra” un “unicum” nell’architettura nuragica. Notevole anche il “finestrino di scarico”, che sovrasta l’ingresso architravato e che secondo alcuni ha la funzione di alleggerire il peso della struttura. Attorno al nuraghe si osservano tratti di mura di cinta, forse residui di un antemurale turrito. Tutt’intorno agli edifici principali si notano, tra la vegetazione, i ruderi di numerose capanne a pianta circolare. Il complesso di “Coa ’e Serra” faceva parte di una rete di nuraghi (tra i quali si distinguono, per posizione strategica, “Genna Sarmentu”, “Loppellài” e “Orgodùri”) che consentiva di controllare tutti gli accessi alla vallata di Golgo.
Uno dei nuraghi più suggestivi e più facilmente accessibili della piana di Golgo, è quello di “Coa ’e Serra” (che significa, grosso modo, situato “nella parte terminale del crinale della montagna”) che svetta in posizione dominante sulla vallata, a 511 metri di altitudine, nella porzione meridionale dell’altopiano. Arrivarci è molto semplice: si percorre la strada per Golgo fino al punto in cui un cartello in legno indica la svolta per il nuraghe “Coa ’e Serra”; da qui si percorre una strada sterrata per circa un chilometro e mezzo, sino a raggiungere uno piccolo spiazzo da cui si intravede, tra la vegetazione, il bianco torrione calcareo del nuraghe; ancora un centinaio di metri a piedi e si è nel cuore del complesso nuragico. Il nuraghe, che gli archeologi fanno risalire all’età del Bronzo Medio (1500 – 1300 a. C. circa); è composto da un nucleo centrale riferibile al tipo dei cosiddetti “nuraghi a corridoio”, più antichi e strutturalmente diversi da quelli “a tholos” (in quanto la copertura non è a falsa cupola ma piattabandata), nel quale si individuano due ambienti: di questi, uno è a pianta circolare, con un diametro di circa 7 metri, l’altro invece a pianta ovale, dal diametro di circa 8 metri, collegati tra loro tramite un corridoio “coperto a piattabanda” (termine tecnico con cui gli archeologi si riferiscono alle grandi lastre di roccia utilizzate per coprire i lunghi e stretti vani interni dei nuraghi a corridoio). Secondo gli studiosi, a questo primo impianto, considerato il più antico del complesso, furono aggiunti successivamente una torre a pianta circolare di tipo “a tholos” e un altro edificio molto particolare, unito al corpo centrale da un muro lungo oltre 12 metri. La particolarità di questo edificio, che presenta un ambiente interno di forma rettangolare (a cui si accede passando sotto un piccolo ingresso architravato) sta nella forma trapezoidale della pianta esterna. Questa particolare morfologia dell’edifico, che secondo gli archeologi era una sorta di piccolo tempio, fa del nuraghe di “Coa ’e Serra” un “unicum” nell’architettura nuragica. Notevole anche il “finestrino di scarico”, che sovrasta l’ingresso architravato e che secondo alcuni ha la funzione di alleggerire il peso della struttura. Attorno al nuraghe si osservano tratti di mura di cinta, forse residui di un antemurale turrito. Tutt’intorno agli edifici principali si notano, tra la vegetazione, i ruderi di numerose capanne a pianta circolare. Il complesso di “Coa ’e Serra” faceva parte di una rete di nuraghi (tra i quali si distinguono, per posizione strategica, “Genna Sarmentu”, “Loppellài” e “Orgodùri”) che consentiva di controllare tutti gli accessi alla vallata di Golgo.
Uno dei nuraghi più suggestivi e più facilmente accessibili della piana di Golgo, è quello di “Coa ’e Serra” (che significa, grosso modo, situato “nella parte terminale del crinale della montagna”) che svetta in posizione dominante sulla vallata, a 511 metri di altitudine, nella porzione meridionale dell’altopiano. Arrivarci è molto semplice: si percorre la strada per Golgo fino al punto in cui un cartello in legno indica la svolta per il nuraghe “Coa ’e Serra”; da qui si percorre una strada sterrata per circa un chilometro e mezzo, sino a raggiungere uno piccolo spiazzo da cui si intravede, tra la vegetazione, il bianco torrione calcareo del nuraghe; ancora un centinaio di metri a piedi e si è nel cuore del complesso nuragico. Il nuraghe, che gli archeologi fanno risalire all’età del Bronzo Medio (1500 – 1300 a. C. circa); è composto da un nucleo centrale riferibile al tipo dei cosiddetti “nuraghi a corridoio”, più antichi e strutturalmente diversi da quelli “a tholos” (in quanto la copertura non è a falsa cupola ma piattabandata), nel quale si individuano due ambienti: di questi, uno è a pianta circolare, con un diametro di circa 7 metri, l’altro invece a pianta ovale, dal diametro di circa 8 metri, collegati tra loro tramite un corridoio “coperto a piattabanda” (termine tecnico con cui gli archeologi si riferiscono alle grandi lastre di roccia utilizzate per coprire i lunghi e stretti vani interni dei nuraghi a corridoio). Secondo gli studiosi, a questo primo impianto, considerato il più antico del complesso, furono aggiunti successivamente una torre a pianta circolare di tipo “a tholos” e un altro edificio molto particolare, unito al corpo centrale da un muro lungo oltre 12 metri. La particolarità di questo edificio, che presenta un ambiente interno di forma rettangolare (a cui si accede passando sotto un piccolo ingresso architravato) sta nella forma trapezoidale della pianta esterna. Questa particolare morfologia dell’edifico, che secondo gli archeologi era una sorta di piccolo tempio, fa del nuraghe di “Coa ’e Serra” un “unicum” nell’architettura nuragica. Notevole anche il “finestrino di scarico”, che sovrasta l’ingresso architravato e che secondo alcuni ha la funzione di alleggerire il peso della struttura. Attorno al nuraghe si osservano tratti di mura di cinta, forse residui di un antemurale turrito. Tutt’intorno agli edifici principali si notano, tra la vegetazione, i ruderi di numerose capanne a pianta circolare. Il complesso di “Coa ’e Serra” faceva parte di una rete di nuraghi (tra i quali si distinguono, per posizione strategica, “Genna Sarmentu”, “Loppellài” e “Orgodùri”) che consentiva di controllare tutti gli accessi alla vallata di Golgo.