Le ragionevoli stratigrafie del nuraghe Cuccuru Nuraxi

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di Augusto Mulas Ubicato nell’immediata periferia del comune di Settimo San Pietro (Ca) sulla sommità di una modesta collina che si eleva per circa 90 metri s.l.m., il nuraghe Cuccuru Nuraxi rappresenta uno straordinario esempio di nuraghe-tempio, il quale, sulla base degli scavi archeologici condotti dall’ Atzeni negli anni ’60 e mediante l’analisi delle stratigrafie e delle strutture annesse al monumento, dovette essere utilizzato in questo senso sin dalla sua fondazione. Il rilievo dell’edificio ha permesso la ricostruzione di un nuraghe polilobato con una torre principale e due secondarie ad addizione frontale. Le cortine murarie che univano le varie torri risparmiavano al loro interno un piccolo cortile, che ha restituito importanti strutture direttamente collegate ai culti che si svolgevano in questo nuraghe. Ma, il rinvenimento più stupefacente che decreta, insieme ai materiali rinvenuti in strato, l’utilizzo cultuale di questo complesso è dato dal pozzo sacro che ha il suo ingresso in corrispondenza di una delle torri secondarie (torre B). Percorse le scale che danno accesso alla tholos del pozzo sacro si giunge al livello inferiore dal quale prende avvio il pozzo vero e proprio (del tipo cosiddetto a canna), sopra il quale venne giustapposta una ghiera monumentale di pregevole fattura, la cui sezione è assimilabile a quella di un largo calice dotato di un ampio basamento circolare. Vanamente il Lilliu tentò di spiegare l’esistenza del pozzo sacro all’interno di un nuraghe, la cosa infatti strideva fortemente con l’ipotesi del nuraghe-fortezza, affermando che questa struttura venne edificata in un momento successivo alla rovina del nuraghe stesso. Vedremo come l’analisi delle stratigrafie e dei materiali restituiti dall’indagine archeologica dimostrino l’esatto contrario. Lo scavo del cortile ha posto in luce un pozzetto votivo scavato nella marna arenacea profondo tre metri e largo 1,5, dal quale sono emersi materiali utilizzati in funzione dei culti che prevedevano l’accensione di roghi rituali, testimoniati dall’abbondante presenza di un terriccio ricco di residui di ceneri, frammisti ad ossi di animali domestici quali bovini, suini, ovini e roditori, ma anche valve di molluschi marini: ostriche, mitili, arselle. In altre parole, tutti quegli elementi che vengono generalmente derubricati, quando rinvenuti dentro i nuraghi, come resti di pasto dell’antico abitante nuragico! (come ho ampiamente sottolineato nel libro “L’isola sacra”). Insieme a questi materiali sono stati rinvenuti molti frammenti ceramici tutti riconducibili a contenitori tipici della civiltà nuragica, datati a partire dal Bronzo Medio (in piccola parte), mentre la maggior parte dei materiali è assegnabile alle fasi del Bronzo Recente e Finale sino a giungere all’Età del Ferro, attestata dal rinvenimento in strato dei tipici recipienti denominati vasi askoidi e dai vasi piriformi. E’ interessante notare come durante il periodo finale di uso del monumento sia attestata anche la presenza di ceramiche attribuibili a produzioni fenicie, greco-orientali, estrusche. Questi ritrovamenti indicano che o i locali continuarono a celebrare i loro culti attraverso l’utilizzo di materiali provenienti da altre località del Mediterraneo, oppure il santuario nuragico era frequentato anche da genti straniere. Tale usanza, però, sottolineerebbe l’importanza non secondaria che questo sito dovette avere anche per popoli non usi a venerare queste divinità, alimentando l’ipotesi (con tutte le cautele necessarie) che la Sardegna nuragica fosse una terra ambita non solo per le sue ricchezze economiche e la strategicità della sua posizione geografica all’interno dei traffici del Mediterraneo, ma anche meta di “pellegrinaggi” da parte di individui appartenenti a popoli stranieri, così come scritto da importanti autori del passato come ad es. Solino, per non scomodare addiritura Esiodo, che definì la Sardegna un’isola sacra. Spostandoci ora rapidamente all’interno del pozzo sacro, constatiamo come l’Atzeni abbia suddiviso la sequenza stratigrafica di questo ambiente in cinque strati principali. Il più antico, dello spessore di 30 cm, ha restituito terra finissima cinerina, ricca di frustuli di carbone, mentre una grossa lente di focolare conteneva ceneri e carboni, nonché ossi di animali domestici (bovini, ovini e suini) e nuovamente valve di conchiglie marine (arselle, ostriche, mitili). Ma l’aspetto più interessante, almeno a mio avviso, è costituito dal fatto che i materiali ceramici rinvenuti fin sotto la parte carenata dell’ampio basamento della ghiera sono databili a partire almeno dal Bronzo Recente. Questo particolare ci consente, grazie allo scavo stratigrafico, di affermare due cose: in primis che queste strutture furono utilizzate per scopi cultuali sin dall’inizio, secondariamente ci permette di ribadire che, almeno a partire dal Bronzo Recente, queste strutture furono edificate così come vennero rinvenute e non furono frutto di un riadattamento successivo, come sostenuto dal Lilliu, dal momento che il grande basamento della ghiera era ricoperto da uno strato che includeva materiali ceramici del Bronzo Recente. Ciò significa che questo nuraghe venne utilizzato come luogo di culto ben prima dell’Età del Ferro, periodo al quale generalmente si riferisce la letteratura archeologica isolana per circoscrivere cronologicamente il momento in cui i nuraghi dovettero cambiare destinazione d’uso. E’ lampante qui a Cuccuru Nuraxi, come del resto in numerosi altri nuraghi (Nurdòle, Santu Antine, Su Sonadori, Arrubiu e via discorrendo), che se ci fu un cambiamento di destinazione d’uso del nuraghe, questo avvenne ben prima del X sec. a.C. La fase del Bronzo Recente, infatti, è cronologicamente compresa tra 1400/1200 a.C. Si aggiunga, infine, come gli scavi dell’Atzeni dimostrino chiaramente il coinvolgimento di larga parte delle strutture del nuraghe nei riti svoltisi al suo interno, a partire dal cortile centrale, caratterizzato dalla presenza della favissa, sino a coinvolgere una delle torri periferiche, al di sotto della quale venne addiritura edificato un pozzo sacro profondo nella sua interezza fino quasi a 22 metri. Quest’opera mette in evidenza, se ancora ce ne fosse bisogno, la perizia tecnica, nonché la raffinatezza architettonica che gli antichi nuragici erano capaci di esprimere sin da epoche cosi remote nel campo dell’ingegneria idraulica.

Bibliografia: Atzeni Enrico 1987, Il tempio a pozzo di Cuccuru Nuraxi, Settimo San Pietro, Cagliari, in: La Sardegna nel Mediterraneo tra il secondo e il primo millennio a.C. : atti del secondo convegno di studi un millennio di relazioni fra la Sardegna e i paesi del mediterraneo, Cagliari